In cammino con Dante/25. Pietro e Dante arsi di zelo per la fede
William Blake, “San Pietro e san Giacomo con Dante e Beatrice” (1824-1827)
I canti XXIV-XXVI del Paradiso nei quali il pellegrino Dante viene esaminato intorno a fede, speranza e carità da san Pietro, san Giacomo e san Giovanni, appaiono talvolta come lo snocciolarsi di quaestiones scolastiche condotte dal magister e adempiute dal discipulus: «Sì come il baccialier s’arma e non parla / fin che ’l maestro la question propone, / per approvarla, non per terminarla, / così m’armava io d’ogne ragione / mentre ch’ella dicea, per esser presto / a tal querente e a tal professione. / ”Dì, buon Cristiano, fatti manifesto: / fede che è?” […]» (XXIV, 46-51). Accade tuttavia che, per lampi, le personalità messe in scena introducano dichiarazioni affettive che varcano ampiamente il ruolo dottrinale loro affidato. San Pietro, ad esempio, così apostrofa Beatrice: «O santa suora mia che sì ne prieghe / divota, per lo tuo ardente affetto / da quella bella spera mi disleghe» (XXIV, 28-30). Che san Pietro si rivolga a Beatrice come a «sorella» è certo giustificato, come hanno ben visto i primi commentatori (sin da Benvenuto da Imola) dal ruolo allegorico di Beatrice: «Chiama san Pietro sua sorella Beatrice, imperoché la Teologia, e la santa e cattolica Chiesa, hanno avuto loro origine e principio da Dio, di cui esse sono figliuole» (Bernardino Daniello); nondimeno quell’appellativo familiare crea un circolo di complicità, il cui senso profondo sarà manifesto più avanti quando Dante, enunciata la propria professione di fede (versi del resto tra i più mirabili del poema: «fede è sustan- za di cose sperate / e argomento de le non parventi», vv. 64-65; «io credo in uno Dio / solo ed etterno, che tutto ‘l ciel move», vv. 130-131) verrà non solo approvato da san Pietro, ma da esso cinto, con un giubilo che è definitiva consacrazione: «Come ’l segnor ch’ascolta quel che i piace, / da indi abbraccia il servo, gratulando / per la novella, tosto ch’el si tace; / così, benedicendomi cantando, / tre volte cinse me, sì com’ io tacqui, / l’appostolico lume al cui comando / io avea detto: sì nel dir li piacqui!» (vv. 148-154). Quel gesto, tre volte ripetuto, evoca la stessa intimità che aveva unito Dante e l’amico Casella sulle rive dell’Antipurgatorio: «tre volte dietro a lei le mani avvinsi, / e tante mi tornai con esse al petto» (II, 80-81), e che aveva appena reso omaggio a Beatrice: «e tre fiate intorno di Beatrice / si volse [il foco felice: san Pietro] con un canto tanto divo / che la mia fantasia nol mi ridice» (XXIV, 22-24); ma – più ancora – ripete lo stesso movimento dei beati che, circondando Dante come in un passo rattenuto di danza, aveva fatto da cornice all’ingresso in scena di san Tommaso d’Aquino: «Poi, sì cantando, quelli ardenti soli / si fuor girati intorno a noi tre volte, / come stelle vicine a’ fermi poli, / donne mi parver, non da ballo sciolte, / ma che s’arrestin tacite, ascoltando / fin che le nove note hanno ricolte» (Par., X, 76-81). Il significato simbolico è tanto più marcato in quanto opposto al triplice giro di condanna che aveva segnato l’infausto compiersi del «folle volo» d’Ulisse: «”Tre volte il fé girar con tutte l’acque; / a la quarta levar la poppa in suso / e la prora ire in giù, com’altrui piacque, / infin che ’l mar fu sovra noi richiuso' » (Inf., XXVI, 139-142). Quella solenne autorizzazione, significata prima dal campione della filosofia e poi dal «gran viro» della fede, consacra Dante in una certezza di missione e forza definitive, che si esprimeranno subito, con consapevole coscienza di sé, appena san Pietro si ferma: « Se mai continga che ’l poema sacro / al quale ha posto mano e cielo e terra, / sì che m’ha fatto per molti anni macro, vinca la crudeltà che fuor mi serra / del bello ovile ov’io dormi’ agnello, / nimico ai lupi che li danno guerra; / con altra voce omai, con altro vello / ritornerò poeta, e in sul fonte / del mio battesmo prenderò ’l cappello» (XXV, 1-9). Pietro è «gran viro» anche nell’energia con cui, al culmine del suo dire, nel canto XXVII, bollerà, con veemente sdegno, la corruzione del papato e il tralignare della Chiesa: «quand’ïo udi’: “Se io mi trascoloro, / non ti maravigliar, ché, dicend’io, / vedrai trascolorar tutti costoro. / Quelli ch’usurpa in terra il luogo mio, / il luogo mio, il luogo mio che vaca / ne la presenza del Figliuol di Dio, / fatt’ha del cimitero mio cloaca / del sangue e de la puzza; onde ’l perverso / che cadde di qua sù, là giù si placa”» (XXVII, 1927). Ma al suo primo apparire, nel canto XXIV, egli è soprattutto l’emblema dell’ardente sollecitudine, ansia di agire, anelito della meta: «credesti sì, che tu vincesti / ver’ lo sepulcro più giovani piedi» (vv. 125126) che è anche la cifra, la sete più viva del credere di Dante, già esemplata in Maria che s’affretta a raggiungere Elisabetta: «Maria corse con fretta a la montagna» (Purg. XVIII, 100); e del resto confermata per Pietro dal vivido ritratto che delinea il versetto del Vangelo di Giovanni: «Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: “È il Signore!”. Simon Pietro appena udì che era il Signore, si cinse ai fianchi la sopravveste, poiché era spogliato, e si gettò in mare» (Gv, 21, 7), sì che san Tommaso commenterà: «Pietro, afferrando una benigna speranza, s’affretta» (Catena aurea in Gv 13, 7; 10). Properat: Pietro è così, determinato, impulsivo, irruento, come il pellegrino Dante nella lettura di Osip Mandel’štam: «Nel suo poema, filosofia e poesia son sempre in marcia, sempre pronte a partire» ( Conversazione su Dante, II). L’uno si specchia nell’altro, sotto il segno di quell’inesausto desiderio della meta, che nell’ardore li riunisce: «”Ratto, ratto, che ’l tempo non si perda / per poco amore” gridavan li altri appresso » (Purg., XVIII, 103-104). La Divina Commedia è poema d’avvenire anche per questo: perché non c’è tempo al rimpianto; tanto lontano Pietro pare qui rispetto al chiudersi del vangelo di Giovanni: «In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi» (Gv 21, 18), quanto il suo imperioso apostrofare Iddio coincide con la fame di giustizia di Dante: «In vesta di pastor lupi rapaci / si veggion di qua su per tutti i paschi: / o difesa di Dio, perché pur giaci?» (Par., XXVII, 55-57).
Terzine eponime
«O santo padre, e spirito che vedi
ciò che credesti sì, che tu vincesti
ver’ lo sepulcro più giovani piedi»
comincia’ io, «tu vuo’ ch’io manifesti
la forma qui del pronto creder mio»
(Paradiso, XXIV, 124-128)