Agorà

IL CASO. Il fascino scomodo della parola poetica

Massimiliano Castellani giovedì 22 dicembre 2011
«Così come oggi tanti anni fa / mandate a dire all’imperatore / che tutti i pozzi si sono seccati / e brilla il sasso lasciato dall’acqua / orientate le vostre prore dentro l’arsura / perché qui c’è da camminare nel buio della parola». Sono i versi dell’ultima raccolta di poesie, Mandate a dire all’Imperatore (Crocetti 2010), di Pierluigi Cappello, uno degli ultimi poeti veri di questo strano Paese che troppo spesso nobilita e rende eroi nazionali i senza arte né parte, lasciando ingiustamente al margine quelle genialità che ancora potrebbero salvarlo. Cappello, per idioma friulano, e per profondità poetica, è uno dei rari e degni discendenti di Pier Paolo Pasolini. Nel 2010 ha vinto il Viareggio ed è stato l’ultimo insignito del premio Montale, «poi non è stato più assegnato e io sono l’unico che per mancanza di fondi non ha ricevuto l’assegno in denaro», dice ridendo. Ma tanta gloria e il riconoscimento di poeti laureati come la polacca Wislawa Szymborska e il nobel Vargas Llosa, non l’ha reso immune da «sorella povertà», con la quale ha convissuto a lungo nella casetta di via San Francesco, a Tricesimo. La casa in legno donata nel 1976 dal governo austriaco in soccorso dei terremotati friulani. Una tana in cui fino a poco fa si aggirava calcolando spazi e tempi sulla sedia a rotelle, resasi necessaria dall’età di 16 anni, quando la sua corsa di promettente centometrista si è arrestata per un incidente di moto. Da allora il suo talento si è misurato sulla distanza più breve dell’endecasillabo, spezzato, quanto un destino prigioniero di una solitudine che Eraldo Affinati definisce «animata e mai rancorosa». Una fede solida in Dio e nella poesia sorregge in questi «giorni difficili e di resistenza» il poeta di Chiusaforte, «la mia Macondo», che è stato costretto ad abbandonare la sua casa: il ritrovo amichevole del partigiano “Cid”, il porto di attracco del fotografo errante Danilo De Marco e il rifugio nelle rare sortite da Meduno della sfuggente «surlastre» (sorellastra), l’anima fragile della poetessa Ida Vallerugo. Un avamposto della memoria quanto la casa di Casarsa del «maestro» Pasolini, quella di via San Francesco. Lì Cappello, con il suo sorriso caldo e ospitale, ha spalancato la porta al mondo. Ma ora quei battenti si sono chiusi, forse per sempre. «Sono stato costretto ad abbandonarla e ora vivo da accampato, sempre a Tricesimo, in una stanza di tre metri per tre nella casa di mia madre... Mi hanno sfrattato delle pantegane arroganti, lunghe 30 centimetri», dice tra il preoccupato e il divertito. Quello di “poeta delle pantegane” non è il suo titolo, essendosi autoproclamato tale, ad Andreis, l’altro grande genio friulano della poesia, Federico Tavan. A Tavan, da sempre in lotta contro i demoni della malattia mentale, è stata concessa la legge Bacchelli. Il vitalizio destinato agli artisti indigenti, che ora i tanti amici e fedeli lettori sparsi per l’Italia vogliono fare ottenere anche al loro Pierluigi. Un’iniziativa promossa dall’assessore alla cultura di Tarcento, Lucio Tollis. L’appassionata studiosa di poesia friulana, Anna De Simone su internet ha avviato il passaparola pro-Cappello (le firme si raccolgono all’indirizzo mail presidente.consiglio@regione.fvg.it). Un tam-tam che non ha lasciato insensibili le istituzioni politiche (la Regione Friuli Venezia Giulia ieri ha approvato la richiesta del vitalizio che ora finirà sul tavolo del premier Mario Monti, ndr) e che è stato subito accolto nell’ambiente intellettuale: l’Accademia della Crusca e alcune università italiane. «Finché la salute mi ha sostenuto ho sempre risposto con grande entusiasmo agli inviti delle università e delle associazioni culturali in cui sono andato a tenere lezioni sulla poesia. Ma lo scorso inverno ho subìto un ricovero in ospedale e adesso spostarmi è diventata un’impresa», ammette con un velo di tristezza, questo splendido 44enne che non si arrende mai e che con la sua voce suadente a ogni reading ammalia i giovani e le generazioni tutte. Nella miseria del nostro mercato editoriale, in cui i libri di poesia rappresentano la nicchia più nascosta dello scaffale, il suo Mandate a dire all’Imperatore è alla quarta edizione e Nicola Crocetti ha inaugurato una collana di e-book con Cappello e Zorba il greco di Nikos Kazantzakis. Eppure il mondo sembra voltare le spalle ai poeti, ghettizzandoli nelle piccole stanze buie dell’indifferenza. «Mi fa male sapere che il mio amico Pierluigi sia in difficoltà – dice il grande veterano della poesia, Franco Loi –. Le ragioni dell’attuale stato d’abbandono nei confronti dei poeti come Cappello, sono essenzialmente politiche e ideologiche. Il poeta, come il filosofo, va alla ricerca e opera in funzione della verità: per questo motivo, in una società tutta votata all’economia e alla “falsa scienza”, è diventato una presenza scomoda. Però voglio ricordare ai governanti che perfino il giovane Karl Marx sosteneva che «i politici devono guardare con attenzione agli artisti, perché essi sono il termometro del loro tempo». L’arte poetica di Cappello è un termometro che si surriscalda quotidianamente. Nel suo esilio forzato, nonostante le innumerevoli barriere da superare, sprizza vitalità. E in questo inverno gelido dell’abbandono, non rinuncia mai alla coperta calda della poesia. «Abbandonando di fretta la mia vecchia casa, ho fatto in tempo a terminare Rondeau (Forum) – venti autori tradotti in friulano, da Shakespeare a Caproni». Richiudendo quella porta a un passato, più che mai diventato una terra straniera, il poeta ha abbassato lo sguardo e salutando le ultime Ombre lasciate dietro di sé ha sussurrato: «Il nord e l’est, le pietre rotte dall’inverno/ l’ombra delle nuvole sul fondo della valle/ sono i miei punti cardinali…».