Il lutto. Pier Giorgio Liverani, il giornalismo militante
I funerali di Pier Giorgio Liverani
Pier Giorgio Liverani ha attraversato, da cattolico, intellettuale e giornalista, il passaggio tra due secoli della nostra storia recente, decenni che hanno trasformato la convivenza civile accompagnandone lo sviluppo, non sempre coerente, dal boom economico alle successive crisi energetiche, dalla cupa stagione del terrorismo alle speranze accese agli albori del terzo millennio; ha seguito e commentato il radicamento dello spirito e delle riforme conciliari nella Chiesa italiana, l’evoluzione e la crisi del cattolicesimo politico, la trasformazione del sistema democratico con il declino di tradizionali formazioni e la nascita di nuovi partiti, il difficile assestamento di un’architettura istituzionale solidamente fondata sulla Costituzione ma soggetta a scossoni di diversa origine, interna ed internazionale. Anni nei quali l’Italia, già marca di frontiera in un contesto di pesanti contrapposizioni ideologiche, ha via via consolidato il suo ruolo centrale nella costruzione di un’Europa unita alla ricerca di una fisionomia politica oltre che di una solidità economica.
Lo ha fatto, Pier Giorgio, certamente da intellettuale cattolico, impegnato nelle strutture ecclesiali e del laicato anche con incarichi di responsabilità; ma soprattutto da giornalista, e quindi da testimone del suo tempo, interprete e voce di una realtà in continuo mutamento. Testimone ma anche in qualche modo protagonista, con responsabilità crescenti nella lunga avventura del giornalismo di ispirazione cattolica che è maturato, appunto a cavallo del millennio, in parallelo allo sviluppo civile della società italiana e rispondendo ad un’intuizione quasi profetica di Papa Paolo VI, che diede un impulso determinante alla nascita – il 4 dicembre 1968 – di 'Avvenire'; quotidiano che Pier Giorgio ebbe modo di definire 'romano', pur avendo a Milano sua sede principale, proprio per via 'legame essenziale' con il Papa.
Lui proveniva dal 'Quotidiano', dove aveva iniziato, giovanissimo, la professione, ma del quale riconosceva i limiti per così dire 'preconciliari'; ad 'Avvenire' arrivò quale capo della cronaca romana e poi capo della redazione, e fu allora che chi scrive lo conobbe divenendone stretto collaboratore per diversi anni e quindi essendo in qualche modo, oggi, titolato a ricordarlo.
Come capocronista e poi capo della redazione romana e vicedirettore seguì in prima persona lo svolgimento e i successivi sviluppi del convegno ecclesiale su 'Le responsabilità dei cristiani di fronte alle attese di carità e di giustizia nella diocesi di Roma', promosso dal Cardinale Vicario Ugo Poletti e passato alla storia come il convegno sui 'mali di Roma', un alto tentativo di incardinare il rinnovamento postconciliare nella diocesi del Papa.
Per Liverani fu la riscoperta del carattere popolare e comunitario della pietà romana, e insieme l’esplorazione delle periferie trascurate della grande metropoli: una realtà destinata a diventare 'notizia' sulle pagine di 'Avvenire'.
Si deve anche a colleghi come Pier Giorgio Liverani se oggi 'Avvenire' conosce una stagione di prestigio e di indiscusso protagonismo, impegnato com’è in prima linea sulla insidiosa frontiera della guerra e della pace, della tutela della vita e della dignità della morte, del conflitto tra un 'io' egoista e un 'noi' comunitario e partecipativo: sempre traendo dalla cronaca i segni di una speranza che meritano di essere segnalati ad un pubblico a volte distratto e confuso.
C’è una linearità, nella vita ormai ultracinquantennale del quotidiano cattolico, e Liverani l’ha ben interpretata, sia all’inizio, quando non fu facile l’amalgama fra i corpi redazionali dei due giornali – 'L’Avvenire d’Italia' e 'L’Italia' – destinati ad unificarsi in una sola testata, sia successivamente quando il giornale conobbe una stagione rischiosa, che ora si potrebbe definire di crescita ma che allora, a chi ci lavorava, appariva piena di incognite.
Erano i primi anni Ottanta, proprio quelli in cui a Pier Giorgio Liverani toccò il compito di dirigere 'Avvenire', anni che poi definì «durissimi e difficilissimi», superati anche grazie alla sua capacità di tenere ferma la barra del timone senza cedere a stanchezza e pessimismo, pronto poi, con sobrietà e modestia, a rientrare nei ranghi una volta cessata la tempesta, senza però mai privare i lettori del suo puntuale e spesso pungente e anticonformista commento ai fatti del giorno e alle interpretazioni più correnti e a volte corrive. L’ultima puntata della sua rubrica 'Controstampa' reca la data del Natale 2017 ed è il numero 1.663. Come scrisse allora il direttore Marco Tarquinio, una «straordinaria testimonianza professionale, civile, cristiana».