Sono trascorsi due anni dalla morte di padre Michele Piccirillo, eppure in molti, in tante parti del mondo continuano a sperimentare il vuoto aperto dal suo addio. Il frate che faceva parlare pietre e mosaici e dava voce ai cercatori di pace richiama la formula che la Scrittura dice di Mosè: «Il suo ricordo è in benedizione». Lo dimostra il volume che, per l’occasione, Custodia di Terra Santa e Studium Biblicum Franciscanum hanno pubblicato (
Michele Piccirillo francescano archeologo tra scienza e Provvidenza, a cura di Giovanni Claudio Bottini e Massimo Luca, Edizioni Terrasanta, pp. 182, euro 18). L’opera, corredata di parecchie immagini, oltre a proporre un profilo biografico a più voci, con i capitoli salienti della vita e le tappe dell’attività – scavi, restauri, mostre… – ricavate dalle schede da lui compilate e dalle note redatte per gli
Acta Custodiae Terrae Sanctae o il
Notiziario della facoltà di Scienze bibliche e archeologia di Gerusalemme, presenta anche una fitta bibliografia che registra contributi scientifici, saggi e conferenze. Un’occasione dunque per cominciare il regesto di tanto lavoro fatto da padre Michele: insomma, la sua eredità di archeologo e biblista apprezzato dalla comunità accademica internazionale, nell’attesa della miscellanea di studi scientifici affidata a padre Carmelo Pappalardo e a Leah Di Segni, ma anche di un profilo completo che ci dica qualcosa in più sulla sua parabola umana e spirituale, a partire dalla vocazione e dal primo approdo a Gerusalemme, nel settembre 1960. Un itinerario costellato di soddisfazioni, fra scoperte rilevanti (come il mosaico del
diaconicon del «Memoriale di Mosé» nel ’76 o l’identificazione di Umm er Rasas, la biblica Kastron Mefaa, nell’86), pubblicazioni monumentali (
The Mosaic of Jordan nel ’93), congressi internazionali (come quello del centenario della Carta musiva di Madaba nel ’97) e una miriade di incontri con i pellegrini in Terrasanta (senza dimenticare la visita su Monte Nebo di Giovanni Paolo II nel 2000)… Un itinerario che pure lo vide osservatore – talvolta poco diplomatico – dei conflitti israelo-palestinesi. Fatti sin qui abbastanza noti. Ma c’è qualcosa di nuovo che le pagine di questo libro preannunciano, toccando la dimensione meno nota di padre Michele: quella interiore. Lo documentano schegge dai diari di Piccirillo, conservati presso lo
Studium Biblicum Franciscanum. Iniziando con l’arrivo di padre Michele in Terrasanta, le agende si «sdoppiano» dal 1973, quando – per ragioni di lavoro – l’attività scientifica inizia ad avere due appoggi logistici: Gerusalemme e il Monte Nebo in Giordania; il diario del Nebo si chiude al 30 maggio 2008, l’agenda di Gerusalemme il giorno dopo. Il 2 giugno padre Michele lascia Gerusalemme senza farvi più ritorno. Anche in ospedale però – tra giugno e ottobre 2008 – non manca di annotare su un block-notes nomi, numeri telefonici, incontri, considerazioni sulla salute che palesano insieme la sua fede. Vale la pena di leggerne qualcuna. Il 15 maggio, trovandosi a Roma con il pensiero agli esami più approfonditi al pancreas, Piccirillo scrive: «Giobbe mi ricorda lo spirito giusto con cui bisogna affrontare questa stagione della vita che per tanti è iniziata molto prima: "Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare il male?". Con fiducia, fede e serenità». Il 24 luglio, in attesa che i medici decidano, annota: «Non rinchiudermi ma continuare a sorridere anche se non capisco fino in fondo la gravità del mio male. Nascondermi nelle piaghe del Signore come in un luogo caldo e rassicurante. Questa ora è la mia vera battaglia, non il vivere che è nelle mani di Dio». Il 14 agosto a Livorno in ospedale annota: «Ho sempre sognato di morire davanti a un plotone di esecuzione o come i martiri coscienti di quanto facevano. Era forse letteratura. Ora è un momento di vero pericolo. Ho sempre pensato al rischio della fede. Ora è il momento di pregare per questo abbandono fiducioso, per una coerenza cristiana che è partecipazione alla Passione di Gesù per il bene della Custodia, dello
Studium, del Nebo e per la pace in Medio Oriente». Il 6 settembre riflette: «Mai come in questi giorni mi sono sentito in una nube d’amore, che mi ha dato quella serenità che non è mai venuta meno». E il giorno dopo: «Sono stato operato e ho vissuto questi giorni durante le due domeniche nelle quali l’insegnamento di Gesù parla di discepolato e di croce, forse mi dico che solo ora ho iniziato a essere cristiano prendendo e accettando in serenità la mia croce».Il 10 settembre in un riquadro scrive: «Dentro una nube protettiva che è la misericordia di Dio e le preghiere di quanti si sono ricordati di me». Quattro giorni dopo insiste: «Spero proprio di non uscire dalla nube!». E aggiunge: «Tempo di potatura/ per sfrondare i due tronchi della Croce/ che germoglieranno a nuova vita la mattina di Pasqua». Con il suo addio padre Michele ha rivelato a molti quanto fosse stimato e amato per il suo lavoro e la sua personalità. Forse però c’è ancora qualcosa che attraverso i suoi frammenti diaristici può insegnarci . E questa volta non si tratta di archeologi o di esegesi biblica.