Dal teatro parrocchiale di piazzale Corvetto a Milano, nel 1970 studio d’incisione per Fabrizio De André e la sua riuscitissima scommessa dell’Lp
La Buona Novella basato sui Vangeli apocrifi, ai negozi di dischi (anche digitali) del 2010. Negozi nei quali domani uscirà
A.D. 2010 La Buona Novella – Opera Apocrifa della PFM, ovvero rivisitazione ad ora del capolavoro di Faber: a cura di Franz Di Cioccio, Franco Mussida e Patrick Djivas (più Lucio Fabbri al violino). «Ma non è una follia, era un’esigenza», dice la band: a sintetizzare il senso di un progetto di rilettura/riscrittura nato dal vivo (il debutto, che
Avvenire presentò, fu l’anno scorso a Vicenza, con 22mila spettatori) e ora culminata in un disco. Che, rispetto all’originale, dura il doppio. «Ma ovviamente non abbiamo toccato i testi – spiega Mussida –. Abbiamo legato i brani dell’opera di De André con temi strumentali inediti, mezz’ora di musica composta in totale libertà fra echi della canzone francese anni Cinquanta, soul, blues, fusion… Volevamo, in una sorta di sceneggiatura musicale dei brani e dell’insieme, che la musica divulgasse anche oggi ed ancora di più quei testi di Fabrizio». E nel 1970 Mussida con Di Cioccio c’era, a suonare anche l’originale: «Eravamo ancora I Quelli, fu il nostro primo esame vero come band. Anzi: da lì nacque la PFM». Ed oggi, anno Domini 2010, spiega Di Cioccio, «Restava forte il senso di un lavoro che De André motivava parlando della capacità di Cristo di farsi portavoce di un concetto, la fratellanza universale, davvero capace di cambiare il mondo». Per questo la band ha deciso di tornarci: per farne prima concerto e poi nuovo disco. «Lavorando sulla voce come mai avevamo fatto sinora», dice Djivas; e «pareggiando i conti con l’opera rock
Dracula, che alla fine ci ha creato solo sofferenze, affrontando ben altro tema», rivela Mussida. Certo è una sfida ancora estrema, un disco (oggi di un’ora) con la vicenda di Cristo: sia pure da prospettiva apocrifa. «Ma quel Dio-uomo è necessario – spiega Di Cioccio –. Perché si può provare ad imitare, lo si sente vicino, insegna valori concreti». A distanza di 40 anni, sono cambiati i centri dell’opera? Risponde Dijvas: «No, conta il viaggio. In una storia che ci aiuta, oggi come ieri, a pensare a quanto abbiamo intorno. E a vivere». Una storia che De André, appunto, definiva «del più grande rivoluzionario», facendo efficace controcanto ai velleitarismi del Sessantotto. Ma ora, domanda finale alla band, è ancora rivoluzionario, cantare questa
Novella?Risponde con acutezza Mussida. «Oggi il messaggio cristiano è maggiormente messo in dubbio, ci sono antagonismi, correnti che lo attaccano. Però nel ’70 era veramente rottura di un tabù, fare della vita di Cristo un’opera popolare. Oggi più che rivoluzionario forse è testimonianza, per non dimenticare, per i giovani. Anche se in fondo
La Buona Novella è come
Io se fossi Dio di Gaber: uno di quegli schiaffi che solo i grandi artisti sanno dare. E che è sempre salutare ricevere».