«Questi sono preti che pregano e lavorano », aveva sintetizzato il cardinale
Jorge Mario Bergoglio, parlando dei sacerdoti che vivono nelle 'villas miserias' della capitale argentina. Ma per capire la loro scelta di condividere l’esistenza con i poveri, in mezzo a loro, facendo di questa decisione una missione concreta, bisogna tornare indietro nel tempo e immergersi nelle vie di quei quartieri degradati, senza luce e con fogne a cielo aperto, in cui lo spaccio di droga rappresenta per molti una scorciatoia per sopravvivere. Non si tratta di un fenomeno estemporaneo o di qualche personaggio carismatico: è un popolo che ha generato padre Carlos Mugica, ucciso quarant’anni fa davanti alla chiesa dove aveva celebrato la Messa poco prima, e via via decine di preti motivati a indossare sandali e ciabatte che diventano icona di una radicalità senza sconti. Qualche anno fa la sociologa e giornalista Silvina Premat ha compiuto questo viaggio in otto 'villas de emergencias' insieme con una ventina di questi sacerdoti, restituendo i frutti di un’ampia e accurata inchiesta nel volume
Preti dalla fine del mondo. Viaggio tra i 'curas villeros' di Bergoglio, uscito nel 2010 in Argentina e appena tradotto dalla Emi in una edizione in parte aggiornata, con la prefazione di don Luigi Ciotti. Il libro verrà presentato in anteprima il 28 agosto al Meeting di Rimini dall’autrice e da padre Carlos 'Charly' Olivero, prete della parrocchia Virgen de los Milagros de Caacupé e stretto collaboratore del più noto padre José 'Pepe' Di Paola nella fondazione dell’Hogar de Cristo, centro per giovani tossicodipendenti e in difficoltà inaugurato nel marzo 2008 da Bergoglio. Con la sua esperienza nelle pagine di cronaca, cultura e informazione religiosa al quotidiano 'La Naciòn' di Buenos Aires, la cinquantenne Premat - che ha intervistato più volte l’arcivescovo argentino eletto pontefice un anno e mezzo fa - non disegna ritratti idilliaci e disincarnati di questi preti di frontiera letteralmente immerse nelle periferie geografiche ed esistenziali tanto care a papa Francesco: uomini, anzitutto, con i loro limiti e tentazioni, ma animati da una forte motivazione interiore e spirituale. La cifra marcata della loro umanità li fa entrare in comunione con gli abitanti delle baraccopoli e non solo: «Condividere la vita quotidiana di uomini del genere propone situazioni in cui la morte affronta la vita e quest’ultima le dà battaglia; il presente si mescola col passato e l’uno senza l’altro perdono senso e consistenza; l’amicizia fraterna si fa strada nell’inferno della solitudine; la memoria di un popolo si fa canzone », sciorina la giornalista, che è anche docente universitaria di comunicazione. Indicando dunque una chiave ineludibile per accedere al segreto di questi preti: fare memoria. Pregano insieme alla gente per il martire padre Mugica, prete della Villa 31, e per i padri Rodolfo Ricciardelli e Jorge Vernazza, preti della
villa di Bajo Flores, così come ricordano il desaparecido padre Carlos Bustos, prete della
villa di Ciudad Oculta. Per lo più sconosciuti, questi sacerdoti sono tutti fregiati con l’appellativo di 'padre', segno di una genitorialità allargata e tangibile. Una presenza ecclesiale che dava molto fastidio ai tempi della dittatura militare e che oggi disturba i narcotrafficanti, dato che nei vicoli degli insediamenti abusivi la droga «è consentito possederla, trasportarla, consumarla, senza essere in pratica minimamente disturbati», come raccontano i sacerdoti intervistati. Infatti nel dicembre del 2010 padre Di Paola ha dovuto allontanarsi da Buenos Aires per le minacce di morte ricevute; dallo scorso anno vive in una baraccopoli a una trentina di chilometri dalla capitale argentina. Ma a 'rimpiazzare' padre Pepe nelle
villas sono arrivati - e sono rimasti in molti: padre 'Charly' Olivero, padre Sergio Serrese, padre Gustavo Carrara e tanti altri continuano a «difendere la figliata», come li esortò a fare proprio con queste parole - e l’invito era rivolto non solo ai preti ma a tutti i credenti - il cardinale Jorge Mario Bergoglio nel 2009, anno in cui elevò il gruppo dei preti
villeros al rango di vicariato, e padre Di Paola fu designato rappresentante dell’arcivescovo in tutte le
villas della città. Dove la fede resta viva, così «la partecipazione alle novene e ai gesti di pietà popolare». Loro, i
curas villeros, continuano a girare per le strade a piedi, in bicicletta o su vecchie utilitarie. Il perché lo spiega lapidariamente padre Carrara: «Ciascuno ha una missione. La mia missione non è essere Ricciardelli oppure Vernazza. La mia missione è essere Gustavo Carrara. Non pretendo di uguagliare, tantomeno di superare o di competere. Rispettando la strada percorsa finora, si continua a camminare e ad accompagnare le vite delle persone di qua. In ultima istanza, guardo la realtà con gli occhi della fede e credo che sia stato Dio a mettermi qui, al di là della mediazione concreta costituita dal vescovo. I primi hanno fatto strada e hanno gettato le basi di una pastorale popolare nelle
villas».