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Matematica. Lo strano caso di Perl'man, l'uomo che ridisegnò l'Universo

Simone Paliaga martedì 6 novembre 2018

Nel 1904 il matematico francese Henri Poincaré propone una congettura sullo spazio tridimensionale capace di spiegare la forma dell’universo. L’ipotesi sfugge per oltre un secolo a ogni tentativo di dimostrazione fino a diventare una sfida per tutti i matematici. Così nel 2000 Landon Clay, un filantropo di Boston, mette in palio un premio da un milione di dollari per la sua soluzione. Passano appena due anni e il matematico russo Grigorij Perel’man pubblica online una dimostrazione. E gli ostacoli fino ad allora incontrati per suffragare la Congettura di Poincaré sembrano spazzati via. La notizia comincia subito a circolare vorticosamente tra gli addetti ai lavori. La dimostrazione appare corretta ma Perel’man non sembra volerla pubblicare sulle riviste specializzate.

È solo l’inizio di un fitto mistero. Dopo un breve soggiorno negli Stati Uniti con la madre al seguito, Perel’man si ritira a San Pietroburgo e chiude i rapporti con quasi tutti i colleghi. Rifiuta il premio da un milione di dollari messo in palio da Clay, rinuncia alla medaglia Fields, una sorta di Nobel dei matematici, quando poco prima, nel dicembre del 2005, si era già dimesso dall’istituto di ricerca di Steklov con una lettera dai toni sorprendenti. Sosteneva di essere «rimasto deluso dalla matematica e di voler provare qualcosa di diverso». Perché Perel’man sceglie di volgere le spalle al mondo rinunciando a ricerca, riconoscimenti e carriera?

La giornalista Masha Gessen prova a ricostruire questa vicenda in Perfect Rigor. Storia di un genio e della più grande conquista matematica del secolo (Carbonio, pagine 252, euro 17,50) senza essere mai riuscita a strappare un’intervista al matematico, deciso ormai a chiudersi in un assoluto silenzio. Figlio d’arte da parte di madre, la cui carriera scientifica si era inceppata nei meandri della discriminazione sovietica, Perel’man eccelleva nello sport tipicamente russo della matematica competitiva negli anni Settanta. Era considerato dal suo allenatore Ruškin e dai compagni «un angelo della matematica». Davanti a un problema insidioso, il giovane Perel’man si concentrava rimbalzando una palla da ping pong contro la scrivania e massaggiandosi vigorosamente la coscia in attesa che la risposta arrivasse. Così vinse una medaglia d’oro alle Olimpiadi matematiche internazionali del 1982. Quando Perel’man arriva all’università, decide di continuare indisturbato il suo lavoro di ricerca.

Finisce gli studi nei primi anni Novanta mentre l’Unione Sovietica inizia a franare. Trascorre un breve periodo negli Stati Uniti indossando, giorno dopo giorno, la stessa giacca di velluto a coste marrone e sopravvivendo con una dieta a base di pane nero e latte fermentato. Non era poi così cambiato da quando il suo mentore Ruškin lo costringeva, ancora adolescente, a lavarsi e a cambiare calzini e mutande durante i ritiri di studio di matematica in preparazione delle competizioni. Di pulirli, i vestiti, non se ne parlava affatto. Dopo un periodo trascorso a Courant Institute di New York per iniziativa di Mihail Gromov, si trasferisce a Stony Brook e all’università di Berkeley in California. Nel corso del soggiorno americano matura una significativa reputazione nella comunità dei matematici. Eppure nella sua mente avvampa una scintilla. Alla fine il matematico russo rinuncia al successo che gli sorrideva da dietro l’angolo e rientra all’istituto Steklov. Presto però l’insoddisfazione cresce anche lì e si ritira a San Pietroburgo nella solitudine dell’appartamento della madre, dove avrebbe passato la maggior parte del decennio successivo a lavorare sulla Congettura di Poincaré.

Col passare degli anni Perel’man diventa un mistero. Masha Gessen gira il mondo a intervistare i suoi colleghi. Dalla Francia a Israele raccoglie numerose testimonianze e scopre che alcuni lo considerano un anticonformista, altri alla stregua di un purista irritabile. Per altri ancora a renderlo geniale erano invece «abitudini mentali rigide, esigenti e ipercritiche». Proponendo una diagnosi della sindrome di Asperger fatta a tavolino, la giornalista russa suggerisce che non fosse semplicemente riluttante ma incapace di giocare secondo regole che non fossero le proprie. Ma per una conclusione così tranchante mancano le prove e sembra la parte debole del libro, quella che volendo spiegare tutto uccide il mistero della genialità. Forse proprio ciò che ha sempre indispettito Perel’man. Affascinante invece la ricostruzione delle circostanze che promuovono l’ascesa del matematico nel mondo della scuola e della ricerca sovietiche, che coincidono con quelle che invece avrebbero portato altri all’abbandono. Qui davvero Masha Gessen offre il meglio dì sé rendendo accessibile un uomo altrimenti irraggiungibile. Nel sistema dei soviet i talenti di Perel’man emersero fin da subito e lui fu incoraggiato a intraprendere un cammino che dalla fredda Leningrado lo porterà a dimostrare la Congettura di Poincaré grazie a un sistema, che pur tra molti limiti, non impedì l’affermarsi dell’eccellenza.