Tennis. Santopadre: «Per un Berrettini di nuovo al top serve pazienza»
Il tennista azzurro Matteo Berrettini, 27 anni, allenato da Vincenzo Santopadre
Il momento difficile di Matteo Berrettini. Il presente e il futuro del tennis italiano. Il confronto tra Alcaraz e Djokovic. La ventitreesima vittoria Slam di Nole. Il definitivo cambio generazionale che tarda ad arrivare e la grandezza irraggiungibile dei Big Three. Sono tanti gli spunti in questa fase della stagione del tennis, giunta a un momento cruciale. Archiviato il Roland Garros si guarda già a Wimbledon. E Vincenzo Santopadre, storico coach di Berrettini ne fa una disamina a 360 gradi, partendo naturalmente dal suo atleta che ha seguito e allenato anche durante lo stop dall’attività agonistica. Esattamente due mesi dopo l’infortunio a Montecarlo Matteo è sceso in campo a Stoccarda contro il grande amico Lorenzo Sonego, perdendo 6-1 6-2. «I due alla vigilia ci avevano anche scherzato su», racconta Santopadre, secondo il quale la parola d’ordine deve essere «pazienza». «Ci vorrà un po’ di tempo per rivedere il vero Berrettini - dice il coach -. Bisogna ritrovare il ritmo partita, giocare match e rientrare nella routine del circuito. Spesso lui ci ha abituati a recuperi straordinari, come l’anno scorso. Speriamo che riaccada quest’anno.
E adesso, quali sono gli obiettivi?
L’obiettivo è abbastanza semplice: ritrovare la continuità che è mancata in questi mesi.
Allarghiamo la prospettiva: come giudica il momento del tennis italiano anche alla luce degli ultimi risultati?
Il movimento è assolutamente in salute. Dovremmo essere più bravi a riconoscerlo ed essere più equilibrati nelle valutazioni. Godiamoci il momento. Non sarà facile rivivere questi anni. I nostri atleti stanno facendo delle cose eccezionali. Tutti noi speriamo che possano continuare su questa strada e fare ancora di più.
Quanto c’è ancora di margine, soprattutto in Sinner e Musetti?
Il margine di crescita è relativo. Poco perché sono già in cima al mondo. Ma in realtà anche tanto perché sono molto giovani. Piano piano faranno tesoro delle esperienze che stanno maturando. Sono tappe obbligate in un percorso. Intanto bisogna semplicemente fargli un enorme applauso.
Una grande vittoria è quindi possibile?
Penso di sì e me lo auguro. Però se non dovesse arrivare non ne farei un dramma. Le statistiche dicono che non sono tanti i giocatori che hanno vinto uno Slam. Quindi sappiamo che è difficilissimo. Però ci speriamo.
Forse più facile che si vinca la Davis?
In realtà no. Più facile uno Slam. Ma solo per un semplice calcolo statistico: di tornei dello Slam ce ne sono quattro in una stagione. La Davis invece si gioca una volta all’anno.
Ce l’ha un nome per il futuro su cui scommettere?
Ammetto di essere sentimentalmente coinvolto per la mia romanità. Ma mi vengono in mente tre romani: Cobolli, Zeppieri e Gigante.
In molti si aspettavano il definitivo cambio generazionale a Parigi, ma Djokovic ha trionfato un’altra volta. La ventitreesima. Tramonto ufficiale ancora lontano?
Sì, ci vorrà ancora del tempo. Ma Djokovic, così come Federer e Nadal non tramonteranno mai. Quello che hanno fatto è irripetibile.
Come si spiega la debacle fisica e forse anche mentale di Alcaraz in semifinale?
Il fisico e la testa sono strettamente connessi. Sappiamo quanto la psiche sia influente. Mi meraviglio che ci sia così tanta gente che si sorprenda di questo. Mi sembra folle pensare che Alcaraz possa avere già la stessa o migliore capacità mentale di Djokovic di gestire le pressioni. Quando lo spagnolo tirava i primi dritti, Nole stava già vincendo i suoi primi titoli Atp.
Quindi non concorda con chi vede in Alcaraz qualcosa di mai visto prima.
Ritengo Alcaraz un grandissimo campione e fuoriclasse. È anche un ragazzo per bene, molto rispettoso. Ha fatto cose eccezionali. È il più giovane tennista ad essere diventato numero 1 del mondo. Gli auguro di vincere tanti Slam. Ma paragonarlo già a Federer, Nadal e Djokovic mi pare eccessivo e irrispettoso per lui e per loro. Quei tre hanno fatto un altro sport. Ognuno deve fare la propria carriera, sapendo che i big Three sono impareggiabili.