Di Vittorio Pozzo sapevo soltanto che aveva vinto due Mondiali e che nel ’48 Brera lo fece esonerare. Dopo vent’anni di comando della Nazionale. Potenza dei giornalisti. Quando i giornalisti erano potenti. Uno di questi, Aldo Bardelli, che il destino volle poi assegnarmi come Maestro, gli succedette con Ferruccio Novo, presidente del Torino, e i tecnici Copernico e Biancone: lo fecero rimpiangere, furono quelli che portarono nel’50 un’Italia distrutta in Brasile, dopo un lungo e stressante viaggio in nave; perché da poco il Torino era finito nella tragedia aerea di Superga e perché Bardelli - come imparai facendo con lui decine di viaggi in treno e auto - aveva paura dell’aereo; viaggiammo una sola volta con l’Italia, da Roma a Bologna, nel ’71, e mori’ di crepacuore. D’allora, fino al ’59, solo Commissioni Tecniche, solo sconfitte. E così - li ho conosciuti tutti - con Alfredo Foni, Gipo Viani, Paolo Mazza e Giuanin Ferrari. Finché arrivo Mondino Fabbri, ottimo tecnico che ci fece sognare ma fu affondato dalla Corea, nel ’66. Un passaggio rapido e inutile di Helenio Herrera, e finalmente nel ’67 nacque quello che chiamavamo “allenatore del parastato”, un dipendente federale con sede a Coverciano: Ferruccio Valcareggi, Zio Uccio, quello dell’Italia seconda a Messico ’70 dopo il 4-3 alla Germania, affondata dalla Germania nel 1974. Dopo di lui Bernardini che preparò l’avvento dei “federali” Bearzot - Mondiale ’82- e Vicini, grande allevatore di campioni; con Sacchi la Federazione subì il mercato (volontà di Berlusconi) e preparò, salvo un passaggio di Cesare Maldini, l’avvento dei tecnici “privati”; uno il vincitore di un Mondiale, Marcello Lippi 2006, che poi aprì in Sudafrica un lungo periodo di crisi azzurra cercando di imitare Pozzo, l’Esonerato, l’unico tecnico ad avere vinto due volte consecutivamente con la stessa Nazionale. Serve, oggi, rinfrescare la memoria mentre Conte va con i suoi ragazzi volenterosi verso l’Europeo dopo avere annunciato l’addio alle armi azzurre. Serve, secondo me, per tornare al passato ritoccandolo con il presente: Tavecchio cerca un maestro non troppo costoso che possa resistere a lungo sulla panca della Nazionale. Prima di Conte, ingaggiato per salvare la presidenza federale in un momento difficile, m’ero speso per Guidolin, ma la lunga fermata e il passaggio inglese mi han fatto cambiare idea; quando s’è capito che Conte se ne andava, ho puntato su Sarri, maestro autentico, studioso di calcio e di uomini, ma la sua sortita anti-Mancini ha scatenato i cultori del politicamente corretto e non so se sarebbe utile avere in Federazione un Ct che ha peccato di omofobia (?) insieme a un presidente tacciato di razzismo (?). Quindi a domanda rispondo: affiderei la Nazionale a Gian Piero Gasperini, classe 1958, compagno di giochi, in gioventù, di Max Allegri, sotto la guida di Giovanni Galeone, un innovatore che ha rifiutato di farsi grande per conservare la sua scombinata libertà ma dopo avere trasmesso agli allievi la sua fantasiosa idea di un calcio che vince e diverte insieme. Come piaceva a Sacchi prima della beatificazione. Ero al lavoro con Gasperini in Sudafrica, nel 2010: rivisitate le sue opinioni televisive, vedrete che non sbaglio. In ogni caso, non chiamatelo “Gasp”, suono onomatopeico che nei fumetti - dall’inglese - vuol dire affannato, ansioso, rantolante. Quello dell’Inter, insomma.
© RIPRODUZIONE RISERVATA la barba al palo