Dibattito. Abbasso i "borghi", evviva i paesi: solo così si salva l'Italia interna
Civita di Bagnoregio
Prosegue con altri due volumi editi da Donzelli il percorso di ricerca dell'associazione "Riabitare l'Italia" con particolare attenzione per le aree interne, rurali e periferiche. Qui proponiamo un estratto da Contro i borghi. Il Belpaese che dimentica i paesi, di Filippo Barbera, Domenico Cersosimo e Antonio De Rossi (pagine 220, euro 19).
Un paese di poeti, santi e navigatori. Ma anche di borghi. Da qualche anno, e in coincidenza con l’esplosione e la crisi del modello urbano e metropolitano, va di moda la 'riscoperta dei borghi'. Messa alle strette, la metrofilia in crisi di identità riscopre il piccolo, e si rifugia nell’esaltazione del - presunto - nucleo urbano originario, assurto a modello e paradigma dell’autenticità. Il significato proprio della parola 'borgo' viene così allargato a dismisura, decontestualizzato e posto in un generico passato, fuori dal tempo. Nato per connotare un abitato storico circondato da mura e caratterizzato da una riconoscibile struttura urbanistica e da specifiche tipologie architettoniche e monumentali, il termine diventa un sinonimo generico di «piccolo aggregato urbano», a cui vengono associati immancabilmente valori estetici di proporzione e armonia, presupposto implicito di un’elevata valorizzazione patrimoniale. Viene così messa in scena una rappresentazione del 'borgomerce' impastata di 'archeologizzazione' e 'medievalizzazione', associata alle rievocazioni storiche in costume, al 'pittoresco' e al branding della località 'tipiche'.
A questa musealizzazione patrimonialista si accompagna la calcificazione della comunità locale, rappresentata come insieme omogeneo e armonico del bel tempo che non c’è più, priva di conflitti e differenze sociali e culturali. Come spesso accade, all’inizio l’uso traslato della parola ha avuto anche una funzione apprezzabile. Qualche decennio fa, quando il 'borgo' era ancora una piccola parte di una narrazione più ampia, quando le iniziative di Uncem e Anci, dei Borghi più belli d’Italia e dei Borghi autentici, si univano, con spirito positivo e ottimistico, alle denominazioni comunali di Veronelli e ai presidi slow food, al nuovo uso disinvolto della parola si sono associate iniziative meritorie, mosse dalla volontà di rianimare una rete di relazioni, tra produttori e consumatori, come tra persone e filiere. Fu questa la fase di avvio di un processo di riscoperta e di ripensamento delle aree interne e montane, dopo la lunga parabola della modernizzazione novecentesca che aveva marginalizzato e reso invisibili vallate e contadi. Da qualche tempo, però, non è più così: e la pervasività borgo-centrica, la borgomania, separa invece di unire, spezza il rapporto vitale tra l’insediamento e il suo intorno, persegue la polarizzazione contro il policentrismo, congela la lunga e contrastata storia dell’insediamento umano nel nostro paese, in favore di una fissità senza tempo che è il contrario della storia e annulla la geografia dei luoghi, come se i borghi potessero esistere senza le relazioni con le aree che li circondano. Dimenticando che lì si continua ad abitare e sempre più spesso si costruiscono percorsi di rivitalizzazione e rigenerazione. [...]
Nella narrazione dominante i borghi sono oggetti unidimensionali: oasi non-urbane di manufatti (sempre pregiati), di quiete (sempre garantita), di natura (sempre incontaminata), di cibi 'autentici' (sempre dal sapore antico). Purtroppo o per fortuna non è così. [...] Possiamo provare a individuare alcune direzioni «propositive e costruttive » per mettere al centro i paesi, al posto dei borghi. C’è, anzitutto, un prosaico tema di capacità amministrativa. A differenza dei borghi, i paesi hanno bisogno di essere abilitati con adeguate dotazioni di competenze tecnico-amministrative, progettuali e relazionali per consentire l’elaborazione di scenari e azioni congruenti con i bisogni, le opportunità e le aspirazioni delle comunità locali. La capacità amministrativa è la precondizione per disegnare servizi per l’abitabilità quotidiana (scuola, sanità, trasporti) adatti alle caratteristiche specifiche dei contesti, esigenza annullata dalla finta omogeneità che deriva dal concetto di borgo. I paesi hanno bisogno di servizi basati sull’integrazione delle funzioni socio-sanitarie e assistenziali e sulla scuola come presidio educativo dell’intera comunità. Ma c’è anche, e forse prima di ogni altro, un tema di governo territoriale e di rappresentanza politica. Bisogna ripensare e irrobustire la funzione delle istituzioni intermedie, sia per favorire l’aggregazione intercomunale sia per offrire opportunità di carriera politica alle classi dirigenti che provengono dalle aree periferiche e dai territori marginalizzati.
Temi, questi, che il costrutto estetizzato di 'borgo' non permette neppure di immaginare come priorità. Un discorso analogo va fatto per l’economia dei paesi, che richiede la messa a punto di filiere di beni e di servizi capaci di generare economie territorializzate. Ciò implica favorire e sostenere produzioni basate sulla varietà e la sostenibilità ambientale e sociale, premesse per la valorizzazione dei potenziali di sviluppo locale e della 'abitabilità' dei luoghi. Soprattutto, emerge con grande chiarezza la necessità di fare dell’economia fondamentale e della vivibilità quotidiana gli assi strategici delle politiche territoriali, con risorse dedicate e non assorbite dal mare magnum del 'turismo'. Solo passando dai borghi ai paesi, i luoghi possono mettere davvero al centro la transizione ecologica, sapendo che questi sono perfetti laboratori di futuro, immaginando pratiche di innovazione sulla transizione ecologica, con tutte le implicazioni per acqua, comunità energetiche, sicurezza sismica, nuova agricoltura, geomorfologia. Priorità, queste, che richiedono di integrare la dimensione fisica dentro le progettualità sociali, culturali, economiche, utilizzando il palinsesto storico dei paesi come dispositivo dell’abitare in termini nuovi. Innovare l’ordinario, senza fingere che sia sempre 'straordinario'. Infine, la centralità dei paesi richiede di connettere non di separare e contrapporre territori diversi: urbani e rurali, di montagna e di pianura, interni e di costa. Nuovi concetti come 'metromontano' e 'metrorurale', con i progetti di innovazione tecnologica, istituzionale, organizzativa ed economica che ne derivano, indicano questa necessità.