Il caso. La Ue equipara nazismo e comunismo
Rovine del gulag delle Isole Solovki
La risoluzione del Parlamento europeo di giovedì scorso, 19 settembre, che ha sostanzialmente equiparato sul piano storico il nazismo al comunismo, possiede tutte le caratteristiche per diventare uno spartiacque politico-culturale decisivo per l’identità della stessa Unione Europea. Intanto perché è il Parlamento Europeo a essersi espresso su una questione di tale rilevanza, non una qualsiasi Commissione o un Tribunale con giurisdizione incerta. La risoluzione, votata da 535 deputati a favore, 66 contro e 52 astenuti, è un atto politico vero e proprio. A esprimersi a favore il gruppo del Ppe, di cui fa parte Forza Italia, il gruppo Identità e Democrazia a cui aderisce la Lega, il gruppo dei Conservatori e Riformisti di cui fa parte Fratelli d’Italia e anche quello dei Socialisti e Democratici di cui è membro il PD. I parlamentari italiani di tali gruppi presenti in aula ieri, risultano aver tutti votato a favore. Il che è confortante se non persino sorprendente.
Ma cosa dice, in sintesi la risoluzione? Che, dopo Norimberga, «vi è ancora un’urgente necessità di sensibilizzare, effettuare valutazioni morali e condurre indagini giudiziarie in relazione ai crimini dello stalinismo» (era quel che cercò di fare la grande antropologa Germaine Tillion, incarcerata nel lager di Ravensbrück, dove perse la madre, raccogliendo per dieci anni dopo la fine della seconda guerra mondiale i documenti dei crimini nazisti ma anche quelli perpetrati nei gulag staliniani, come si può leggere nel volume che riunisce i suoi saggi specifici: Alla ricerca del vero e del giusto); che «l’integrazione europea è stata una risposta alle sofferenze inflitte da due guerre mondiali e dalla tirannia nazista, che ha portato all’Olocausto, e all’espansione dei regimi comunisti totalitari»; che il «riconoscimento del retaggio europeo comune dei crimini commessi dalla dittatura comunista, nazista e di altro tipo, nonché la sensibilizzazione a tale riguardo, sono di vitale importanza per l’unità dell’Europa e dei suoi cittadini e per costruire la resilienza europea alle moderne minacce esterne». In questo modo la comoda distinzione tra “stalinismo” e “comunismo” non è più possibile. È quella distinzione infatti che ha consentito finora a tante forze politiche e culturali di lucrare su una presunta differenza morale e storica tra stalinismo e comunismo grazie alla quale si poteva, e si doveva, condannare il nazismo assolvendo il comunismo che nulla, secondo costoro, aveva a che fare con lo stalinismo. Nella risoluzione, invece, quasi sempre la parola “stalinismo” è accompagnata e usata insieme a “comunismo”.
Ed entrambe sono altrettanto chiaramente accostate ai crimini commessi dal nazismo e dal fascismo e come tali da considerare, senza attenuanti o assoluzioni pregiudiziali. La risoluzione di fatto invita a proseguire il lavoro della memoria che è stato compiuto nei riguardi della Shoah e che ora deve allargarsi più decisamente alle vittime del comunismo. Il che è possibile fare proprio superando gli equivoci storici e morali, persistenti e reiterati, anche da molte personalità della cultura europea, relativi alle presunte differenze tra crimini nazisti e comunisti.
È un lavoro storico culturale che avrà bisogno di tanto impegno e tante risorse perché per troppo tempo molta parte della cultura europea si è adagiata nella convinzione che non si potessero nemmeno accostare i crimini nazisti a quelli comunisti, equiparare lager gulag e foibe. Un atteggiamento in molti casi frutto di convenienze accademiche dovute al potere culturale che in diversi paesi europei esercitavano i partiti comunisti. Certo la risoluzione, richiamando anche la Russia ai suoi doveri di democrazia, e quindi a fare la sua parte per ciò che riguarda il riconoscimento delle responsabilità del comunismo e la necessità del superamento dei suoi residui nelle istituzioni e nella politica, si proietta in avanti, verso la necessità di uno sguardo storico comune dell’Europa a ciò che ora la unisce, nel superamento di quanto l’ha divisa in maniera sanguinosa e tragica per quasi tutto il Novecento. E quel che la unisce è certamente il rifiuto dei totalitarismi nelle diverse forme storiche in cui si sono presentati e nell’evitare che si ripropongano, nella convinzione e nell’auspicio, però ancora tutto da realizzare, che non se ne riproducano di nuovi e di incogniti.