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Intervista. Parmitano: «Torno nello spazio per guardare a Marte»

Antonio Lo Campo domenica 23 giugno 2019

Luca Parmitano durante la passeggiata spaziale del 2013

Manca un mese al lancio della missione “Beyond” (“Oltre”), dell’Esa (l’Agenzia Spaziale Europea), previsto per il 20 luglio. Giusto nel giorno del 50° anniversario del primo sbarco sulla Luna dell’Apollo 11. A bordo della navicella Sojuz MS-13, sul sedile di sinistra sarà seduto l’astronauta italiano dell’Agenzia Spaziale Europea, Luca Parmitano, tornato in questi giorni in Italia, per anticipare la sua missione, parlare dell’anniversario del primo sbarco sulla Luna, e più in generale delle nuove frontiere che si stanno aprendo nell’ambito dell’esplorazione spaziale. Lo ha fatto in una conferenza stampa al centro Esrin dell’Esa (Agenzia Spaziale Europea). L’addestramento procede ed è alle fasi finali, assieme ai suoi due colleghi che prenderanno posto sulla Sojuz per la “Expedition 60/61”, Andrew Morgan della Nasa e Alexander Skvortsov (comandante) di Roscosmos. È la sua seconda missione di lunga durata sull’Iss dopo la missione “Volare” dell’Asi, del 2013.

Parmitano, nel corso della seconda parte della “Expedition”, della durata di sei mesi, sarà il primo italiano a comandare la base orbitante. Un ruolo di prestigio...

È certamente un ruolo importante, che mi fa sentire orgoglioso. Non tanto per me, quanto perché questo è un altro risultato importante per l’Italia e l’Europa in ambito spaziale. Non sarò là a dare indicazioni, ma a facilitare il lavoro dei miei compagni. Mi piace paragonare questo ruolo a quello del capitano di una squadra sportiva, dove tutti cooperano per il bene comune. Il comandante parla direttamente e costantemente con il suo staff a terra, e deve sapere assegnare al proprio equipaggio i ruoli più adatti per ognuno in modo da ottimizzare l’andamento della missione.

Dopo le due “passeggiate spaziali” della precedente missione, ne ha in programma anche per questa?

Sono previste alcune attività extra-veicolari, all’inizio e poi verso la fine della nostra missione, prevista a gennaio 2020, per andare a sostituire alcune batterie poste all’esterno della stazione, sul traliccio, con batterie di nuova generazione. Non è previsto per adesso che debba compierne anch’io, ma sono comunque addestrato, come anche i miei compagni di missione, per poter eventualmente uscire all’esterno anche in questa missione.

L’incidente capitato nel corso della sua passeggiata del 16 luglio 2013, ha portato a lei e più in generale ai progettisti, nuove idee?

È stata un esperienza preziosa per far fronte a inconvenienti, che nelle missioni spaziali vanno comunque messi in preventivo. Più in generale è servito a riprogettare il sistema di raffreddamento dello scafandro e del casco per renderlo più sicuro. Ha avuto paura? Non è vero che non ne abbiamo... Però riusciamo a gestirla e a controllarla al meglio, grazie all’addestramento. La durata? Per una missione spaziale come la nostra, la preparazione dura da due a tre anni.

Perché ha scelto il nome “Beyond” (“Oltre”) per questa sua nuova missione? Vede anche qualcosa che va davvero oltre, anche dal lato spirituale?

Perché quello che svolgiamo in orbita non è per gli astronauti o per il programma della Stazione Spaziale, ma è per tutti. Ed è l’unica strada per noi per imparare ciò di cui abbiamo bisogno in termini di scienza e tecnologia, proprio per andare oltre. E poi perché con la nostra missione svolgeremo esperimenti che guardano “oltre la Terra”, riguardanti le future missioni sulla Luna e Marte. Questa è la ragione, dove poi però ciascuno è libero di guardare davvero anche ben oltre questi confini...

La sua missione prenderà il via il 20 luglio, nel giorno dei 50 anni dal primo sbarco sulla Luna. Immagini straordinarie...

Sono le uniche sino a oggi ad avere portato gli astronauti oltre l’orbita terrestre e verso un altro corpo celeste. Quelle imprese e quegli uomini sono dei miti per tutti noi, anche se non le abbiamo vissute in presa diretta.

Di quelle imprese lunari, ce n’è una che l’ha colpito in modo particolare?

Sarebbe troppo facile dire proprio l’Apollo 11, perché dal punto di vista storico è stata, e resta, quella maggiormente ricordata e celebrata, come è giusto che sia. È stato il primo allunaggio, con maggiori rischi, ma sarebbe riduttivo nei confronti di tutte le altre missioni. Non ho una missione preferita, e le ritengo tutte importanti. Ogni esperienza ha un suo grande valore assoluto, imprescindibile da ciò che è successo. Già prima dell’Apollo 11 erano stati raggiunti risultati incredibili. Con Apollo 8, ad esempio, quando gli astronauti hanno lasciato per la prima volta la “culla” della Terra, per spingersi al di là dell’orbita bassa terrestre, per arrivare quasi a sfiorare la superficie lunare per poi rientrare. Fu, per la prima volta, il viaggio più lungo mai compiuto dall’uomo. Apollo 9 è la missione che per chi, come me, arriva dall’ambiente della sperimentazione e del collaudo, è il top perché fu carica di sperimentazioni uniche e del tutto nuove. Per la prima volta tutte le componenti dell’astronave e la manovre necessarie per i viaggi sulla Luna venivano sperimentate, e quindi quella missione ebbe un valore assoluto, perché molti di quei test e tecnologie testate con Apollo 9 sono state indispensabili per proseguire con le successive

Apollo 13 fu quella del dramma nello spazio, con il ritorno degli astronauti sani e salvi ma dopo tanta paura. Rivede un po’ quella missione con il suo problema, serio, alla tuta spaziale?

Sì, quella missione Apollo la sento a me personalmente vicina, perché un incidente così grave e così lontano dalla Terra, con difficoltà di comunicazione, con necessità di utilizzare il genio dei tecnici a terra, l’inventiva e la creatività degli astronauti a bordo per tornare salvi da un sistema in così grave avaria, un po’ mi ricordano il mio addestramento e la situazione che ho vissuto io nello spazio, quando ci fu l’avaria della mia tuta spaziale. Un problema che per me, così come all’epoca, serve per migliorare il sistema e renderlo più sicuro.