Agorà

Intervista al presidente Ghirardi. La virtuosa di Parma

Massimiliano Castellani domenica 18 maggio 2014

Con i suoi 39 anni appena compiuti (il 10 maggio) il patron del Parma Tommaso Ghirardi è il secondo più giovane presidente della Serie A. Il primato anagrafico spetta ad An­drea Agnelli (6 dicembre 1975), “tri­campione” d’Italia con la sua Ju­ventus. E mentre oggi (domenica 18 maggio ndr) i bianconeri contro il Ca­gliari cercano il record dei 100 punti, il Parma va all’assalto di quel sesto posto che vale l’Europa League affrontando un Livorno già retrocesso in B. Presidente, comunque vada a finire sarà un successo? «Certo che sì. Nessuno qui si deve di­menticare le nostre origini e da dove siamo partiti. Otto anni fa ho raccol­to questa società dalle ceneri e nel 2008 ho conosciuto anche la ferita del­la retrocessione in B. Perciò se per la prima volta nella mia gestione il Par­ma centra l’Europa sarà una piccola grande impresa». Sulla carta, a 90 minuti dal termine, ormai è una questione fra voi e il To­rino del presidente Urbano Cairo. «Urbano è un amico che nel calcio ha avuto un percorso abbastanza simile al mio, forse lui con qualche dispiacere in più negli anni passati. Se non dovessimo farcela noi, piuttosto che le solite note, quindi le solite grandi (il Milan, ndr) prefe­rirei che in Europa League c’andasse il Toro». C’è stato un momento che lei se l’è presa con gli arbitri che “ostacolavano” la vostra corsa all’Eu­ropa... «A dire la verità da un anno a questa parte, da quando sono diventato papà di Enrico, mi la­mento sempre meno con gli arbitraggi. Po­trebbe essere un segno di vecchiaia, o ma­gari di rassegnazione al sistema...». Ci spieghi meglio presidente. «Significa che nel nostro calcio più sa­li ai piani alti e meno stai simpatico, così provano a farti cadere giù. Cre­do sia una questione tutta italiana che guarda più all’interesse e alle a­micizie che alla meritocrazia». Come ci si difende e si riesce a re­stare a galla in un ambiente così o­stile? «Con la passione sana e vera per il cal­cio come la concepiamo noi e la città di Parma: qui si va allo stadio per vede­re uno spettacolo sportivo e non certo per delinquere, come purtroppo accade altrove.  E poi con l’affetto che mi dimostra la gente per la strada. Spesso in trasferta ricevo i complimen­ti e le strette di mano dei tifosi avversari, e quelle per me contano quanto una vittoria». I tifosi della Nazionale si complimentano per co­me avete saputo gestire Cassano. Ma qual è sta­to il suo segreto per domare FantAntonio? «Men­tre le parlo sotto la finestra del mio ufficio sto as­sistendo a una scena già vista, ma da favola... C’è tutta la famiglia Cassano, Antonio, la moglie e i due figli che stanno giocando con un pallone. È il suo giorno di riposo e lui dove lo passa? Qui al no­stro centro sportivo di Collecchio, perché questa, ha capito che ormai è casa sua». Dicevano lo stesso alla Samp, dove infatti lo ri­vorrebbero indietro. «Io credo, anzi ne sono convinto, che in nes­suna realtà come il Parma Cassano abbia mai trovato quella serenità che andava cercando. Ovunque il suo problema è stato l’eccesso di pressione, i troppi fa­ri puntati sulla sua vita privata. Qui, senza mai bisogno di discutere o di li­tigare, ha trovato il suo habitat natu­rale». Grazie al Parma ha ritrovato anche la Nazionale e a quasi 32 anni di­sputerà anche il suo primo Mondia­le in carriera.  «Abbiamo lavorato talmente bene che nove dei nostri ragazzi dovrebbero an­dare ai Mondiali in Brasile. Tre gli azzur­ri, con Cassano ci sono Parolo e Paletta e tra i 30 pre-convocati il mio amico Cesare Prandelli ha chiamato anche Mirante. Più ci sono i nostri cinque nazionali stranieri: Obi, Gar­gano e Acquah e i due che abbiamo in prestito, il greco Ninis e l’algerino Mesbah».

L’oriundo Paletta ha scelto l’Italia invece del­l’Argentina. «Paletta è da un pezzo che secondo me è uno dei più forti centrali del mondo. Il fatto che non fos­se convocato né da una né dall’altra nazionale e­ra diventata una barzelletta». È una barzelletta anche che Pietro Leonardi e Roberto Donadoni a fine stagione andranno in una grande società? «Io vorrei che Leonardi e Donadoni restassero sempre qui con me, ma sono realista e so che sto parlando di due fuoriclasse che nei rispettivi ruo­li di dirigente (ad) e di allenatore dovrebbero es­sere già da un pezzo a fare le fortune di top club nazionali e internazionali». A proposito di calcio internazionale, anche lei ha investito all’estero, nel Nuova Gorica. «Si tratta di sinergie come quelle che in Italia ab­biamo con Latina e Crotone che stanno lottando per venire in A. Il Nuova Gorica è in finale di Cop­pa di Slovenia, lo allena un ex Parma doc come Lui­gi Apolloni che ha portato con sé diversi nostri giovani del vivaio a fare esperienza. E questo per me è il vero senso dell’Europa unita anche nel cal­cio». Nel suo settennale da presidente di Serie A ha trovato un punto di riferimento in qualche diri­gente? «Ce l’ho, ma da poco: è il presidente del Coni Gio­vanni Malagò. Per me lui è il nuovo che avanza, ama e conosce il potenziale del mondo del calcio, ma sa che la ricchezza di un Paese passa per una democrazia estesa a tutte le discipline sportive». Di tutti i giocatori che ha avuto al Parma, tempo fa lei ha detto che riprenderebbe di corsa Seba­stian Giovinco. Conferma? «Stiamo parlando di un bravissimo ragazzo oltre che di un talento del calcio italiano. Prima di tor­nare alla Juve (nel 2012) ci ha salutati con 15 gol, lasciando un ricordo fantastico. Giovinco e Cas­sano assieme l’anno prossimo? Sarebbe un so­gno...». Cosa sogna davvero per il futuro della sua so­cietà? «Di vedere il Tardini sempre pieno come oggi che proponiamo il “Biglietto Famiglia” gratuito per l’ingresso di genitori con figli e nonni al seguito. E poi di ripetere subito una stagione come questa». Presidente, da cattolico e praticante, ha pensa­to a qualche “fioretto” nel caso il Parma andrà in Europa? Qualcosa farò, ma al momento non ho pensato a un “fioretto”... Anzi sì, uno ce l’ho: ritessero Gene Gnocchi con il Parma».