Agorà

Scuola e disabilità. Parigi, lezioni d'inclusione sugli spalti ma non in aula

Daniele Zappalà, Parigi sabato 7 settembre 2024

Una giovane tifosa francese

Rispetto ai Giochi organizzati a cavallo fra luglio e agosto, le Paralimpiadi che volgono al termine hanno contato pure su un pubblico speciale: centinaie di scolaresche “convocate” sugli spalti, proprio all’inizio dell’anno scolastico (dal 2 settembre), nel quadro di una vasta operazione nazionale all’insegna dell’educazione civica. In termini di volontà di promuovere i valori olimpici e paralimpici, l’intuizione ha riscosso ampi consensi. Anche perché, con il loro entusiasmo e l’allegro vocìo, soprattutto gli allievi più giovani portano una nota di freschezza decisamente benvenuta, anche per gli atleti impegnati nelle prove. Questa volontà di trasformare Parigi 2024 pure in un’occasione generale di educazione collettiva dovrebbe proseguire anche dopo la chiusura del sipario, domenica, sulle Paralimpiadi. Rispondendo ieri mattina in conferenza stampa a una domanda di Avvenire, la sindaca di Parigi, la socialista Anne Hidalgo, ha confermato questa linea, riguardo alle sue competenze municipali, evocando una delle istituzioni preposte a questo scopo: « Farà parte certamente di ciò che il Théâtre de la Concorde, con lo storico Patrick Boucheron, proporrà nei prossimi mesi». Secondo l’ex candidata franco-spagnola all’Eliseo, lo spirito olimpico e paralimpico è già soffiato, mostrando l’esempio ai più giovani e in particolare agli studenti, pure fra gli organizzatori dell’intera sequenza di Parigi 2024, capaci di superare gli steccati politici in nome di un obiettivo comune: «Quando si lavora assieme, si è molto più intelligenti. Ho da tempo questa convinzione e ciò dovrà continuare ad ispirarci tutti». Frasi che Hidalgo ha lanciato rievocando pure l’eredità di pensiero del barone Pierre de Coubertin, il quale riesumò i Giochi a partire da una logica prettamente pedagogica, sulla scorta di un profondo dialogo con il domenicano e grande educatore Henri Didon, suo amico. Non a caso, il barone trovò l’ispirazione recandosi presso l’istituto diretto da Didon nella banlieue Sud parigina, il Collège Albert-le-Grand di Arcueil. A prima vista, questa sorta di circolarità in chiave pedagogica fra ispirazioni del passato e soluzioni pratiche presenti traccia uno scenario alquanto edificante. Ma quando si guarda lo stesso panorama dal mondo della scuola francese, emerge in realtà pure un profondo paradosso, alquanto fosco: ogni giorno, lo stesso sistema scolastico transalpino che invia gli allievi ad assistere alle prove paralimpiche, così da assicurare la trasmissione del valore dell’inclusione, si dimostra talora poco inclusivo con i discenti che presentano ritardi mentali o altre pesanti difficoltà psico-fisiche. A ben guardare, una delle zone d’ombra meno note dell’istruzione pubblica francese, denunciata da anni dalle associazioni dei genitori costretti a battersi strenuamente per una scolarizzazione davvero soddisfacente dei figli. Non a caso, proprio nei giorni delle Paralimpiadi, l’emergenza è stata evidenziata da due delle associazioni più in vista impegnate su questo fronte: da una parte, Créer son école (Creare la propria scuola), storico organismo di sostegno verso i genitori che, al posto di gettare la spugna, scelgono di riunirsi e di rimboccarsi le maniche per fondare, soprattutto nella Francia rurale lontana dai grandi capoluoghi, strutture innovative attrezzate per accogliere al meglio i ragazzi disabili o con altri disagi. Dall’altra, Vôtre école chez vous (La vostra scuola a casa vostra), che ha scelto un approccio diverso: organizzare la circolazione, a titolo gratuito, di insegnanti di ruolo volontari di sostegno pronti a recarsi presso le famiglie maggiormente in difficoltà. «Ci sono sempre più ragazzi che hanno bisogno di soluzioni pedagogiche differenti dagli standard, perché sono dislessici, parzialmente sordi, hanno profili autistici o disturbi dell’attenzione. Non trovando soluzioni soddisfacenti nel sistema pubblico, tante famiglie provano a puntare su scuole indipendenti alternative, molto più attente ai bisogni di ogni singolo ragazzo. Queste famiglie partono semplicemente dalla constatazione amara che c’è un bisogno rimasto senza risposte. Per questo, anche con estrema fatica, cercano d’inventarsi soluzioni per permettere ai figli di carvarsela», ci spiega Anne Coffinier, fondatrice e presidente della prima associazione. Da parte sua, Sylvie Marcé, che guida la seconda, assicura ad Avvenire: « Purtroppo, gli iscritti che beneficiano dei nostri insegnanti equivalgono per numero alle famiglie che restano invece in lista d’attesa». Inoltre, evocando le luci e ombre del suo impegno quotidiano, la leader associativa non nasconde certi nodi ancora irrisolti, almeno in parte, con il sistema scolastico ministeriale: « A Parigi, le nostre relazioni con il Provveditorato agli studi, sono estremamente positive. L’istituzione apprezza enormemente il nostro lavoro. A Rouen, invece, viviamo un paradosso. Da una parte, le persone sul campo mostrano di ammirare il nostro lavoro. Ma l’amministrazione, per ragioni giuridiche e burocratiche, non ha voluto istituire con noi un contratto ministeriale, non pagando dunque gli insegnanti». Così, ammette Marcé, la speranza è ora che il vento paralimpico soffi fino in fondo pure sul mondo degli insegnamenti di sostegno eccezionali: « Non vogliamo affatto essere concorrenti del sistema ufficiale, ma operiamo come tappabuchi. E purtroppo, ancora vi sono tanti buchi. In questi giorni, nutriamo una speranza speciale per un futuro di piena inclusione anche a scuola».