Agorà

IL CASO. Parigi, il romanziere si converte

Lorenzo Fazzini martedì 6 ottobre 2009
Quando uscì nel 1999, il suo A­nielka fu insignito del prestigio­so Grand prix dell’Académie française, sezione romanzi. Ora è impegnato in un corposo progetto let­terario, un ciclo narrativo in cinque to­mi che copre l’arco di altrettante gene­razioni. Ne sono già usciti tre ( Option paradis, Telling e Il n’y a personne dans les tombes ) dove non mancano i riferi­menti religiosi, visibili già dai titoli ('Op­zione paradiso' e 'Non c’è nessuno nel­le tombe'). François Taillandier è uno dei più celebri scrittori viventi d’Oltral­pe: dal 2008 preside la sezione 'roman­zi' del Centro nazionale del libro. Taillandier è da poco arrivato nelle li­brerie transalpine con un’intervista-fiu­me sul suo iter spirituale, un percorso che l’ha portato dal suo giovanile rifiu­to della fede (il cristianesimo «non ri­spondeva più a nessuna delle doman­de o delle aspirazioni di un adolescen­te» degli anni Sessanta, ammette) fino all’adesione convinta al messaggio e­vangelico e al suo ritorno nella Chiesa. Tutto questo mentre è rimasto un in­tellettuale di sinistra: ancora oggi colla­bora stabilmente con il quotidiano L’Humanité, caro alla gauche. Era stato lui stesso, un paio di anni fa, sulle co­lonne di Le Figaro, ad uscire allo sco­perto con un outing significativo: «Io so­no cattolico». Un’esposizione pubblica motivata - spiegava il romanziere nato a Clermont Ferrand nel 1955 - dal 'di­sprezzo' con cui nella terra dei Lumi ancora oggi si pronuncia l’appellativo ' catho'. E in questo saggio dialogato con il cronista Jean-Marc Bastière, inti­tolato Ce n’est pas la pire des religions (Stock, pagine 166, euro 17), Taillandier svela i tratti salienti della sua conver­sione religiosa e le conseguenze pub­bliche che un credo cristiano assume nella società odierna, partendo dal fat­to che il cristianesimo « non è la peg­giore delle religioni». Anzitutto è da segna­lare l’atteggiamento intellettualmente pu­gnace del Nostro nei confronti dell’ateolo­go Michel Onfray, au­tore del discusso Trat­tato di ateologia (Fa­zi). Taillandier lo bol­la come « un’opera mediocre, assoluta codificazione del ri­sentimento, che non attacca solo il cristia­nesimo ma anche l’e­braismo e l’islam. […] Sorvoliamo sull’evi­dente disonestà, i ri­ferimenti o le citazio­ni truccate o defor­mate, passiamo oltre alla stupidità della teoria complottista. […] Mi sono interro­gato a lungo su que­sto disprezzo nell’ac­cusare la Chiesa di tutti i mali della terra, nel non riconoscerle alcun fatto positivo né qualsivoglia contribu­to ». E ancora: «Onfray, per dimostrare quella che egli ritiene la po­sizione antiscientifica del cristianesi­mo, cita San Paolo: 'La scienza sarà a­bolita'. Come se San Paolo decretasse la chiusura del Cnrs!», ovvero il corri­spettivo del Cnr in riva alla Senna. E invece credere in Cristo - per Taillan­dier è centrale procla­mare la resurrezione del Nazareno, perché « ap­punto per questo, e non per altri motivi, deside­riamo parlarne» - offre all’uomo, anche nella nostra epoca, insupera­bili possibilità di ap­proccio al reale. Sentia­molo confidarsi con Ba­stière: «È perché c’è sta­ta la fede che c’è stata la ragione. Dato che il cri­stianesimo mette Dio al suo posto, l’uomo può sviluppare le proprie fa­coltà di comprensione dell’universo creato » . Ancora: « Secondo me, oggi Cristo instaura questo cambiamento: impedisce all’indivi­duo di pretendere una completezza, una coincidenza con se stesso sul piano intel­lettuale, morale, spiri­tuale ». È significativa la sua confessione di a­desione personale al Dio fatto uomo a Na­zareth: « Il Cristo è una presenza. Non è un corpus filosofico: è qualcuno che è qui, che ci parla, che si tiene molto vicino alla vita » . Taillandier mostra inoltre alcuni esem­pi della novità culturalmente rilevante sorte dalla fede suscitata da Cristo e dal­l’esperienza storica (la Chiesa) che da Lui è sgorgata. Un esemplificazione let­teraria: «Il modello del racconto evan­gelico è radicalmente nuovo, come ha sottolineato George Steiner». Un altro esempio, sul piano del linguaggio figu­rativo: «La Croce è un prodigioso atto estetico. Con l’immondo legno di sup­plizio di quei bruti di romani Gesù crea un simbolo immenso che struttura l’u­manità ». Infine, il cristianesimo opera un arricchimento sociale: «Io preferisco sostituire la parola moderna ' l’altro' con 'il prossimo'. È un concetto più ric­co. 'L’altro' è sufficiente rispettarlo. Il prossimo è qualcosa in più: è l’altro in quanto me stesso». Il romanziere francese non sfugge alle sfide del presente: rimarca di essere «as­solutamente persuaso che l’Europa è cristiana» visto che essa «è l’invenzione di alcuni vescovi particolarmente ricchi di intuito e di un pugno di missionari al­l’avventura ». Denuncia alcune «inedite forme di irrazionale collettivo, che ci viene bene prefigurato da fenomeni già all’opera: satanismo, sette abusive, il successo delle opere di Coelho». E chiu­de con l’esempio di un testimone di vi­ta cristiana, capace di rendere irriduci­bile il cristianesimo a qualsivoglia 'a­teologo': Massimiliano Kolbe, martire ad Auschwitz. «Io credo che il nazismo fu vinto con lui, in quei giorni, da que­st’uomo. Credo che se Cristo, in due­mila anni di storia, non avesse ispirato altro se non il suo gesto, non avrebbe perduto il proprio tempo. Quando pen­so a questo, allora credo in Dio». Fedeli e turisti davanti alla cattedrale di Nötre Dame a Parigi. Sotto François Taillandier