«È passato solo un anno di pontificato e sembra invece che sia trascorso un secolo». Si apre con questa constatazione il saggio in cui Giuliano Vigini ripercorre e analizza i primi 12 mesi di «Papa Francesco» (questo il titolo del volumetto delle Paoline, pp. 110, euro 7,50). Il sottotitolo enuncia invece il taglio del lavoro: «La Chiesa incontra il mondo». Infatti Vigini – da sempre accurato esegeta dei pontificati da Wojtyla in poi – ritrova l’«obiettivo prioritario» di Papa Bergoglio nel far percepire che «la Chiesa è una grande famiglia, dove si dialoga, ci si incontra, si condividono le esperienze di tutti. Una Chiesa aperta, accogliente, dinamica, che non parla soltanto a quelli che già ci vivono, ma esce dalle mura per farsi incontro a tutti». Anzi, è papa Francesco stesso a «uscire dalle mura», «dando l’esempio di come si può costruire, nella misericordia e nell’amore, una Chiesa più bella e una società migliore». Tutto il volume documenta poi tale assunto, ritrovandolo sia nel magistero, sia nelle prediche, sia nei gesti di questo ancor breve pontificato. Nelle ultime pagine, il decalogo e la cronologia del nuovo Papa.Francesco: invito alla lettura. O meglio, alla comprensione. Per lasciarci interpellare, per metterci in discussione, avere il coraggio di cambiare, dalle parole e dall’esempio, dagli orizzonti aperti da papa Bergoglio. È questo che ci propone nella sua immediatezza Il progetto di papa Francesco.
Dove vuole portare la Chiesa (Emi, pp. 128, euro 9,90), la conversazione del vaticanista di Repubblica Paolo Rodari con padre Victor Manuel Fernandez, arcivescovo e rettore dell’Università Cattolica Argentina di Buenos Aires, da oggi disponibile nelle librerie. «In questo libro abbiamo cercato di capire dove lui ci vuole portare, ma ancora mi domando cosa Dio ha voluto fare con la sua elezione», dice con franchezza padre Fernandez alla fine. Ma la sua voce non è quella di chi s’improvvisa esegeta delle parole del Papa; il teologo è stato uno degli stretti collaboratori di Bergoglio per la realizzazione del documento di Aparecida nel 2007 e certamente può essere considerato una delle personalità ecclesiastiche argentine che meglio conosce il suo pensiero. Ma soprattutto è questo che emerge dal suo riflessivo percorso dentro alle parole di Francesco: come sacerdote egli si è lasciato interpellare nel vivo dalla sua azione, dalla sua testimonianza di vita, dalla sua cifra paterna di pastore. «Anche se c’è una grande affinità di idee, per me egli stato ed è soprattutto un grande padre che è riuscito a riconoscere e a promuovere il meglio di me. In questo modo, con tenerezza, ha tollerato i miei errori, le vanità e le impazienze, e sempre mi ha spinto, in particolare con la sua testimonianza, a continuare, a maturare e a crescere. Quello è per me il suo insegnamento più importante, perché mi ha fatto capire cosa significa essere sacerdote e come i sacerdoti debbono trattare le persone». È quanto ancora dice alla fine. E forse è bene cominciare proprio da qui, dai frutti riusciti, per entrare nell’inizio. E l’inizio non può che venire da una sollecitudine ineludibile che costituisce il tratto portante del magistero di Francesco, caratterizzante della sua personalità e della sua missione: «L’annuncio del cuore del Vangelo prima di ogni altra cosa», afferma Fernandez. «Prima di tutto», prima di qualunque programma, perché è destinato a noi stessi. Per questo egli spiega la novità dell’
Evangelii Gaudium, che non può essere uno dei tanti testi da abbandonare in libreria. È la voce di un padre che sveglia, chiama, invita. E ripercorrerne il cammino interno significa ad- dentrarci nelle pieghe del cantiere del suo pensiero. Comprendere nella sostanza ciò che il papa venuto dalla fine del mondo, lasciandosi guidare dallo Spirito Santo, apre non solo alla Chiesa. Padre Fernandez si sofferma sugli snodi essenziali: sulla missione come uscita da sé, sulla concezione di popolo, sullo spirito di rinnovamento e di riforma che viene dal Concilio e che intende proseguire, sul dialogo per una reale «cultura dell’incontro» e sull’ecumenismo. Ma è proprio nell’accento posto sull’annuncio del cuore del Vangelo, da intendere nel contesto di un rinnovamento della Chiesa, il nodo centrale per comprendere l’insegnamento e le scelte di questo Papa. «Egli pensa che una Chiesa che vuole uscire da se stessa e raggiungere tutti debba necessariamente adattare il suo modo di predicare. Francesco ci in- vita a riconoscere che molte volte i precetti della dottrina morale della Chiesa si trovano al di fuori del contesto che dà loro significato. Una pastorale missionaria non può essere ossessionata dalla trasmissione disarticolata di un insieme di dottrine che pretende di imporre a forza di insistere. L’annuncio per arrivare a tutti si deve concentrare su ciò che è l’essenziale, che è allo stesso tempo ciò che è più attraente perché risponde alle esigenze più profonde del cuore del cuore umano». È dunque importante «un’adeguata proporzione, un equilibrio in relazione a questo 'cuore', e per questo egli applica un criterio proposto dal Vaticano II spesso dimenticato: 'la gerarchia delle verità'. Le verità cristiane si comprendono nella loro relazione reciproca e ancor più in relazione al centro: l’amore infinito di Dio che chiama alla sua amicizia, che offre salvezza e vita». Fernandez si addentra inoltre un altro male che snatura la missione: «Il problema dell’ego elitario». «È un egocentrismo che deforma la missione del servizio che Dio ha comandato loro» spiega, e che porta alla mondanità spirituale che avvelena la Chiesa. Nel suo documento magisteriale Francesco lo spiega in modo crudo e diretto: «Chi è caduto in questa mondanità guarda dall’alto e da lontano, rifiuta la profezia dei fratelli, squalifica chi gli pone domande, fa risaltare continuamente gli errori degli altri ed è ossessionato dall’apparenza. Ha ripiegato il riferimento del cuore all’orizzonte chiuso della sua immanenza e dei suoi interessi e, come conseguenza di ciò, non impara dai propri peccati, né autenticamente è aperto al perdono. È una tremenda corruzione con apparenza di bene (n. 97)». «Credo che chiunque riesca a capire questo – dice Fernandez – arriverà a scoprire la controparte positiva; in altre parole lo stile di vita che egli vuole proporre ai fedeli ha come simbolo prezioso la figura umile, spogliata, libera e generosa di san Francesco d’Assisi». Lui, il Povero d’Assisi, si è lasciato guardare, 'ricreare' da Cristo. Lui si è lasciato interpellare a cuore nudo. E non ha messo il saio per acquistare consensi. Ciò che chiede papa Francesco non è dunque un cambio d’abito, non è un appello ad allinearsi, ad adeguarsi ad una nuova linea papale. Non siamo chiamati a «francescanizzarci». Perché l’autentica povertà di spirito, l’evangelica povertà non s’indossa. Una mera emulazione di Francesco, un’emulazione esteriore ci farebbe apparire solo ridicoli.