Musica. Paolo Conte, il "maestro" che è nell'anima della Scala
Paolo Conte durante il concerto di domenica sera al Teatro alla Scala di Milano
Sentire il pubblico di una Scala sold out cantare in coro “It’s Wonderful / Good luck my baby” è stato forse più di quanto temessero quei puristi che di Paolo Conte nel tempio della lirica non volevano assolutamente sentir parlare. “Sfregio” bis, visto che il brano precedente, l’ultimo in scaletta, era stato il trionfale Il maestro con le tre coriste di colore (unica apparizione sul palco di tutta la serata) e l’ensemble degli undici fidi musicisti a celebrare il “maestro” Conte sulle note simil-verdiane e un po’ risorgimentali di quel celebre pezzo del ’90 (dall’album Parole d’amore scritte a macchine) che gli orchestrali di Conte avevano già cantato in coro per festeggiarne gli 80 anni nel 2017.
Un momento epico, emozionate, da brividi di gratitudine, con Conte in piedi a intonare la sua parte mentre le voci straniere ed esotiche sintetizzavano il sentimento corale di un pubblico in piedi per quel “maestro che è nell’anima e che nell’anima per sempre resterà”. Giù il sipario! Ma soprattutto archiviata l’artificiosa polemica sulla presunta profanazione della Scala che per la prima volta ha ospitato un cantautore (italiano). E l’avvocato di Asti ha persino evitato di stravincere la sfida non inserendo in scaletta l’altro “canto degli italiani”, Azzurro. Sarebbe stata l’apoteosi. Molti comunque avevano forse dimenticato che negli anni recenti il tempio della lirica si era già aperto ad altri generi musicali che non fossero opera, ospitando via via Milva, Keith Jarrett, Bobby McFerrin, Stefano Bollani con Riccardo Chailly (nel 2014) e balletti ispirati ai Pink Floyd, a Vasco Rossi e ai Radiohead.
In ogni caso ci ha pensato il sovrintendente Dominique Meyer a tagliare corto: "È una bellissima serata. Sono per la gente che costruisce ponti, non barriere". Tra il pubblico tanti anche i “colleghi” di Conte provenienti da altri fronti musicali. Dalla reduce sanremese Madame, che approva la sfida di avere aperto la Scala al cantautorato sperando “che questo concerto sia l’inizio di una lunga serie”, a Vinicio Capossela, Biagio Antonacci (“diciamo che questo di Conte è un concerto inclusivo”) e Giuliano Sangiorgi dei Negramaro che tranquillizza coloro che temono che si sia creato un pericoloso precedente: “Non c’è rischio che Conte sia un precedente storico perché dopo Paolo Conte non c’è nessuno”.
E il “maestro” sul palco del Piermarini è infatti planato da par suo con quell’Aguaplano che soltanto il suo surreale immaginario poetico e pittorico poteva ideare. Un brano cinematografico, ad hoc per il regista Paolo Sorrentino tra i vip presenti in sala (tra i politici, in platea i sottosegretari alla Cultura Vittorio Sgarbi e Gianmarco Mazzi) che sottolinea come Conte non abbia scritto solo canzoni ma creato un immaginario. Tutto il concerto si dipana infatti così (tra cambi di policromi sfondi e consegne delle partiture ad ogni brano da parte di un addetto), da Sotto le stelle del jazz a Come di (in cui Conte inaugura alla Scala il suo proverbiale kazoo) a Alle prese con una verde milonga con un insolito finale in suggestivo dialogo tra sax baritono e Conte che s’inventa rumorista con un labiale e vocale suono a evocare il fruscio del vento.
Arrivano altri due brani tratti dall’album Aguaplano (1987), non eseguiti da tempo. Ratafià, con Conte che lascia il pianoforte (al quale si appoggia con la mano sinistra) e nel finale gigioneggia imitando il trombone, e Recitando sciorinata anch’essa con un paio di occhiali da sole a proteggersi dagli abbagli dei fari. Dopo i poco gettonati Uomo camion e La frase (motivo per cui è facile intuire che il concerto alla Scala diventerà presto un dvd, vista appunto la presenza di brani mai usciti prima in versione live), ecco la sorpresa non annunciata in scaletta e non inclusa nel libretto che chiude il primo tempo, con Conte che rimane solo sul palco a eseguire al piano Dal loggione, il racconto di un invaghimento che potrebbe essere (perché no?) scaligero con un ancor più irriverente e beffardo paraparapunzi finale. Sontuoso, e ovazione infinita.
L’intervallo prepara il Piermarini a Dancing e a chi non è convinto che la rumba sia soltanto un'allegria del tango, per poi arrivare a Gioco d'azzardo e all’apoteosi de Gli impermeabili che fa scattare l'applauso al primo accordo che ne accenna il motivo per concludersi con una vera e propria ovazione quando ancora sax alto e tenore stanno per chiudere il brano con un inedito dialogico finale. Conte poi abbandona ancora il piano per dedicarsi in toto a Madeleine, cantata in piedi battendo le mani sulle gambe e continuando a batterle sul pianoforte nel finale. Quando torna a sedersi al suo strumento principe, parte immancabile e atteso Via con me, cui segue il simil-bolero di Max con un crescendo meno prorompente di altri live.
Arriva potente la padana ruralità di Diavolo rosso che, come sempre, dà modo ai suoi musici di sfoderare le proprie abilità in strepitosi assolo strappa applausi, dal violino di Piergiorgio Rosso al clarinetto in stile klezmer di Max Pitzianti fino alla scatenata fisarmonica di Claudio Chiara. Prima de Il maestro, un conclusivo spazio al Conte più chansonnier con Le chic e le charme che attacca riprendendo il kazoo e sfoderando il suo francese, per la supplementare soddisfazione del sovrintendente Meyer a cui è riuscito ciò che in passato non era riuscito al suo connazionale predecessore Lissner, che aveva acconsentito a ospitare Conte alla Scala salvo dovervi rinunciare per incompatibilità dei reciproci calendari.
Ora il calendario dell’avvocato di Asti si arricchisce frattanto di una nuova data milanese, il 20 maggio al Teatro degli Arcimboldi, cui seguiranno altre tre tappe: martedì 6 giugno all’Auditorium Parco della Musica di Roma, sabato 15 luglio all’Arena Santa Giuliana di Perugia in occasione di Umbria Jazz e venerdì 21 luglio in Piazza della Santissima Annunziata a Firenze all’interno del MusArt Festival.