Intervista . «Avvenire», il sogno di PAOLO VI
Un album di famiglia, con nomi, date, lettere, fatti ricostruiti meticolosamente. Con PaoloVI e Avvenire (Studium) Eliana Versace, storica e docente alla Lumsa, offre a chi si sente coinvolto nell’avventura informativa di Avvenire assai più che un puntuale saggio sulle origini del quotidiano dei cattolici. C’è la grandezza di un disegno, la fatica della nascita, il respiro della Chiesa conciliare. E la figura di Papa Montini che si staglia come vero padre del giornale che avete tra le mani. «Avvenire» fu davvero una 'invenzione' di Paolo VI? «Paolo VI è stato il fondatore di Avvenire, come appare con evidenza da tutta l’ampia e molteplice documentazione esaminata. Il Papa seguì il giornale con quotidiana, costante e paterna attenzione, fino alla morte. Lui stesso confidò che il primo giornale al mattino era Avvenire. Mai un Papa aveva partecipato con tanta sollecitudine alle vicende di un giornale, che non fosse L’Osservatore Romano . Anche nella vicenda che portò alla nascita di Avvenire Paolo VI si dimostrò tutt’altro che amletico e incerto: si rivelò invece molto fermo e determinato pure nel far nascere e sostenere Avvenire, insistendo sulla volontà di dar vita al quotidiano nazionale dei cattolici italiani».Esistevano diversi quotidiani cattolici, alcuni di grande tradizione: perché Paolo VI volle un giornale nazionale di riferimento? «La stampa cattolica italiana, seppur di antica tradizione, restava ancorata alle singole realtà diocesane o a gruppi religiosi. Del resto, fino al 1952, non esisteva nemmeno la Conferenza episcopale italiana. Già tra il 1949 ed il 1950 il sostituto Montini presiedette una riunione in Segreteria di Stato dove si valutò l’eventualità di un 'assorbimento' del quotidiano bolognese L’Avvenire d’Italia da parte del giornale milanese L’Italia . L’idea di un quotidiano cattolico che avesse una più vasta diffusione nel Paese riemerge negli anni in cui il futuro Pontefice era arcivescovo di Milano e seguiva personalmente le vicende dell’Italia , dalla cui unificazione con L’Avvenire d’Italia , nel 1968, sarebbe sorto Avvenire. Un quotidiano nazionale di riferimento per i cattolici italiani avrebbe potuto compiere con maggiore incisività quella necessaria azione di apostolato cui tutti i credenti sono chiamati». «Avvenire» che novità portò nel modo di comunicarsi della Chiesa?«Nella complessa e per molti versi sorprendente vicenda che ha condotto alla nascita di Avvenire sono rintracciabili i due prioritari intenti che ispirarono il pensiero e mossero tutta la lineare e coerente azione pastorale di Paolo VI: il perseguimento della maggiore unità possibile all’interno della Chiesa e, ad extra, tra essa e i suoi fedeli. Sostenuto da questa unità e impostato su solide basi dottrinali poteva svolgersi il necessario dialogo della Chiesa con la società moderna, per far conoscere al mondo le ragioni profonde della fede in Cristo». Secondo Paolo VI in che modo «Avvenire» do- veva raccogliere le istanze del Vaticano II? «Nel dibattito conciliare la Chiesa si è aperta come non mai alla riflessione sul ruolo e l’importanza dei mezzi di comunicazione sociale, promulgando per primo il decreto Inter Mirifica . Montini era già intervenuto ai lavori della Commissione centrale preparatoria del Concilio in merito allo schema sulle comunicazioni sociali, chiedendo, tra l’altro, che il Concilio producesse un messaggio per raccomandare un uso retto degli strumenti del comunicare. Ai mezzi di comunicazione di massa, e dunque anche al quotidiano cattolico, per il Papa spettava il compito di collaborare alla diffusione del Vangelo. Ricordando l’impegno di Paolo VI a sostegno di Avvenire, il suo principale collaboratore in quegli anni, il cardinale Giovanni Benelli, scriveva: “Noi tutti vescovi parliamo continuamente di evangelizzazione, ma senza un giornale che incida nella formazione della mentalità della gente non possiamo che attenderci un peggioramento della situazione”». L’accoglienza del progetto da parte degli arcivescovi di Bologna e Milano fu a dir poco perplessa. Paolo VI era 'troppo avanti' per la Chiesa italiana di quegli anni?«Possiamo considerare Paolo VI lungimirante. Vi furono molte resistenze, e una risoluta contrarietà fu espressa dal cardinale Giovanni Colombo, divenuto arcivescovo di Milano nel 1963 succedendo proprio a Montini, e che conosceva bene i problemi della stampa cattolica essendo stato presidente della società editrice de L’Italia . Le sue preoccupazioni erano di carattere economico, ma non mancava la convinzione che “un giornale nazionale era ancora troppo lontano dalla condizione geografica e culturale del-l’Italia”. A Bologna, il cardinale Giacomo Lercaro difese strenuamente L’Avvenire d’Italia, gravato da un pesante deficit, rivolgendosi direttamente al Papa. In un estremo tentativo Lercaro indirizzò al Pontefice una lettera accorata esprimendo “profondo dolore”, accogliendo le decisioni di PaoloVI “col cuore in pianto” e in spirito di obbedienza». Cosa significò per la Chiesa in Italia l’adesione a un segno unitario come «Avvenire»? «Bisogna dire che i vescovi italiani accolsero con riluttanza l’idea di un quotidiano cattolico nazionale e la accettarono per obbedire alla volontà del Papa. Anche il cardinale Giovanni Urbani, che nel 1968 era presidente della Cei, espresse le sue perplessità. Il quotidiano, che doveva avere carattere nazionale, restò nei primi tempi prevalentemente diffuso nel Nord e nel Centro, mentre più stentata sembrava la ricezione nel Sud del Paese. Nell’estate del 1971 i vescovi meridionali si riunirono per discutere di un’edizione meridionale di Avvenire. Anche il giornale cattolico doveva contribuire a formare e avvicinare un episcopato nazionale ancora, per molti aspetti, legato alle particolari realtà delle singole diocesi». Fu molto discussa la questione dell’identità del giornale: un foglio esplicitamente cattolico, o un quotidiano d’informazione tra gli altri, pur con un volto riconoscibile... «I vescovi italiani si interrogarono a lungo sulla finalità e la natura del nuovo quotidiano: bisognava capire se Avvenire dovesse essere un giornale d’opinione o “un giornale d’informazione a ispirazione cristiana”, come disse Vittorio Bachelet. Per il Papa, che rivide personalmente le Linee programmatiche del quotidiano stabilite dalla Cei, il giornale avrebbe dovuto avere carattere formativo oltre che informativo, “così da fare di Avvenire uno strumento di vera crescita spirituale di tutto il popolo di Dio”. Pertanto doveva mantenere un profilo nazionale, tale da farne strumento di dialogo nella Chiesa e con il mondo. Al giornale si chiedeva di prendere posizione, nel rispetto della dottrina della Chiesa, ma in piena autonomia dalla gerarchia, “quando si tratta di valori che possono essere difesi e sostenuti sulla base di motivazioni umane e morali solide e profonde”. Il giornalista di Avvenire doveva diventare “alleato del Papa”, secondo un’espressione propria di Paolo VI: “Siate apostoli”, disse ai giornalisti cattolici, spingendoli a impegnarsi per “dare sempre parole, siano severe, siano facili, siano amichevoli, siano divertenti, siano solenni e profonde, che fanno del bene a chi le accetta”».