Cinema. Sorrentino e "The New Pope": «Io irriverente? Indago il bisogno di Dio»
Jude Law e John Malkovich sono i due Papi di Sorrentino in "The New Pope" di Sky
Non ama le definizioni che alcuni gli hanno attribuito. Irriverente, trasgressivo, polemico. Certo The New Pope, la nuova serie originale Sky che Paolo Sorrentino ha ideato e girato dopo The Young Pope, si potrebbe giudicare un po’ troppo celermente come l’ennesima irrisione di una realtà, quella del Vaticano, apparentemente distante dall’universo immaginifico di Sorrentino. Distante lo è, in parte, dalla natura ortodossa e millenaria di uno Stato e del Papa che rappresentano, per i cattolici fedeli di tutto il mondo, rispettivamente la Chiesa e San Pietro. Vicino, lo è, anche, perché Paolo Sorrentino è un regista attento, sicuro di sé, imponderabile.
«Scrivo ciò che mi provoca grande curiosità» ci spiega Sorrentino, in occasione della promozione di The New Pope, serie prodotta da The Apartment - Wildside (parte di Fremantle) dal 10 gennaio in esclusiva su Sky Atlantic e Now TV. Inoltre ogni lunedì sarà proiettata in alcuni cinema italiani. In The Young Pope e ora in The New Pope il vero argomento che mi sta a cuore è il bisogno impellente di Dio che hanno le persone, un bisogno che trovo molto rispettabile. Per questo sono in disaccordo con chi definisce irriverente il mio approccio narrativo. Credo che il rapporto con Dio sia qualcosa di cui non si possa fare a meno, sia quando lo si afferma e sia quando lo si nega. E questo è un aspetto che mi interessa molto: mi piace avere come protagonista un Papa, che è il rappresentante di Dio sulla terra, e allo stesso tempo mi piace occuparmi dei preti, dei fedeli. Lo faccio a modo mio, alle volte con un approccio naïf, giocoso ma sempre con onestà e spontaneità».
Ha letto qualche libro in particolare prima di ideare la serie?
Ne ho letto tantissimi, di cui ora non ricordo più nulla, ma ho avuto come consulente Alberto Melloni, professore ordinario di Storia della Chiesa.
Il nuovo Papa, Giovanni Paolo III (interpretato da John Malkovich) sembra meno interessato alla preghiera, rispetto a Pio XIII, il "The Young Pope", interpretato da Jude Law.
La preghiera era un tema molto presente nella prima serie. Meno nella seconda. Giovanni Paolo III, il nuovo Papa in carica, porta un’inquietudine nel suo animo: si sveglierà dal coma Pio XIII, un Papa, sospeso tra la vita e la morte? Nel tempo il cinema e la televisione hanno smesso di mettere al centro del racconto il Vaticano come luogo scabroso dove si addensavano misteri. Ma il pericolo dello scandalo riguarda tutte le realtà della società, non solo quelle religiose, anche quelle professionali. Oltre al tema della preghiera mi premeva raccontare in The New Pope qualcosa che appartiene al mondo della Chiesa, un mondo che non ha mai rinunciato alla necessità della cultura, della riflessione e dello studio. Temi, che rischiano di sembrare, a volte, caduti un po’ in disgrazia. Ma la Chiesa dimostra di essere meravigliosamente monolitica, perché non può non tenere in considerazione l’arte, la letteratura e la musica. Paradossalmente, insieme all’Università, è uno degli avamposti culturali più importanti.
E poi, come nei suoi precedenti film, sono sparse numerose domande, senza risposte definitive; anche se, spesso, nei dialoghi c’è una certa tendenza alla sentenza.
Certo che ho la tendenza alla sentenza, ma non perché voglio dare delle risposte personali. A volte i personaggi sentenziano perché utilizzo un escamotage narrativo per chiudere una scena o una situazione imbarazzante. Le sentenze riguardano temi leggerissimi, non sono risposte alle grandi questioni. In realtà le mie sono domande che conducono solamente ad altre domande.
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Nella sua filmografia sembra che ci sia un file rouge, ovvero l’amore che dà respiro alle storie.
L’amore è uno dei temi che mi sta a cuore, nelle sue infinite declinazioni, non solo quello sentimentale al quale tutti facciamo, d’istinto, riferimento. Penso che ci sia una grandezza nell’affrontare questo tema imprescindibile della vita.
Ha mai pensato di girare un film sull’amore?
Ci ho pensato tante volte, ma è il film più difficile da realizzare, anche perché ne sono stati prodotti diversi. Nel passato il cinema ha vissuto un’epoca d’oro perché i lungometraggi che si realizzavano erano tutte pellicole d’amore, che appartenevano alla commedia brillante americana. Inoltre non vorrei deludere idealmente mia madre perché era un’appassionata di quel cinema; li vedevamo insieme quando erano proposti alla televisione, quando c’era solo Rai Uno e Rai Due. Ricordo in particolare Via col vento, che ho visto da bambino.
I suoi personaggi sono fragili e sembrano, come ne La grande bellezza, il suo film più conosciuto nel mondo, avere una visione negativa della vita. Si ritrova in questa definizione?
La grande bellezza è una storia piena di ottimismo: ha un lieto fine perché racconta un uomo che ha disillusione e disincanto, e che, dopo decadi di blocco creativo, all’età di sessantacinque anni si rimette a scrivere. Credo che sia un film capace di restituire speranza sul futuro dell’essere umano, sulla soluzione alla sua solitudine e al suo declino.
Nelle due serie televisive c’è una coincidenza narrativa nelle vite personali dei due Papi: Pio XIII ha perso i genitori, mentre Giovanni Paolo III ha perso suo fratello.
Il concetto di perdita è quello che presumo di conoscere meglio avendo vissuto personalmente la morte dei miei genitori quando ero ragazzo. Che sia una persona cara, un fratello, un genitore o un amico, tutti possono declinare, nella loro vita, il concetto di perdita. Un tema interessante quando riguarda i fedeli, soprattutto i cattolici, perché in quel caso la perdita di figure di riferimento potrebbe essere risolta ipoteticamente, parzialmente o totalmente tramite l’amore di Dio.
Su cosa sta lavorando adesso?
Girerò a New York, forse in estate, un film che sto scrivendo insieme ad Angelina Burnett. Sarà tratto dalla biografia Mob Girl: A Woman’s Life in the Underwood di Teresa Carpentier (premio Pulitzer nel 1981 per il miglior articolo, n.d.r.). È ispirato alla storia vera di Arlyne Brickman, prima donna della mafia newyorkese, poi informatrice dell’FBI: la interpreterà Jennifer Lawrence.