Agorà

Il ricordo. Paolo Ricca, l'unità dall'ascolto della Parola

Andrea Riccardi mercoledì 14 agosto 2024

Il pastore valdese Paolo Ricca

Il pastore Paolo Ricca, scomparso la notte scorsa, è stata una figura rilevante nel cristianesimo italiano dell’ultimo mezzo secolo. Nato a Torre Pellice nel 1936, terra di elezione del movimento valdese, si era interrogato sulla sopravvivenza dei valdesi di fronte a una costante persecuzione cattolica e inquisitoriale. Studioso e professore di Storia della Chiesa alla Facoltà valdese, aveva affermato: “che i valdesi esistano ancora è un miracolo assoluto”. Non spiegava tale esito solo il rifugio nelle Valli valdesi, luogo riparato e montano che -come insegna Braudel- è uno spazio in cui le minoranze si proteggono (come i drusi sulla montagna libanese o in cristiani siriaci nel Tur Abdin ora turco).
In un’Italia tutta cattolica, dove i protestanti era guardati talvolta con ostilità dai cattolici ma anche dalle istituzioni sino alla fine degli anni Cinquanta, Ricca fa parte di una generazione che ha respinto il recinto confessionale, moltiplicando la presenza tra i cattolici e gli altri cristiani. “Fino al Concilio, mi sono sentito uno straniero in Italia” -diceva Valdo Vinay, di trent’anni più anziano, suo predecessore nella cattedra di Storia della Chiesa. Vinay, discepolo di Karl Barth in Germania, come Ricca condivideva il pensiero del teologo svizzero. Ricca, però, si era addottorato a Basilea sull’escatologia del Vangelo di Giovanni con Oscar Cullmann (che lo aveva aperto anche al tema del culto nella Chiesa delle origini).
Ricca ricordava come Vinay, suo docente, lo avesse aperto alla passione per la predicazione. Vinay resta -come ha scritto Fulvio Ferrario- “un gigante”. Per lui, come per Ricca, la predicazione era peculiare nell’essere protestanti. Bastava ascoltare un sermone di Ricca per restare colpiti dalla passione per la Parola di Dio, ma pure dalla capacità di parlare al cuore di chi lo ascoltava con semplicità e lucidità che permettevano anche di memorizzare. Ricca, nei tempi di malattia, raccoglieva tutte le sue forze per predicare.
Studioso del protestantesimo, di Calvino e di Lutero (su cui ricordo il libro, Lutero, mendicante di Dio), egli spiegava l’essere valdese come “appartenere a una storia”, che aveva fatto la scelta della Riforma. Niente era chiuso, ma una vicenda di “cristiani in divenire”, vissuta da un “protestante in un orizzonte ecumenico”. Discepolo di Barth, era ben lontano dalla riduzione “ad unum” delle religioni. Negli anni della contestazione si era opposto aa identificare la fede con la lotta politica. Irrideva “l’illusione di essere l’unico cristiano al mondo”, quella dei tradizionalisti o degli arcigni custodi delle ortodossie.
Viveva da cristiano e valdese nell’orizzonte ecumenico che erano le varie Chiese e i differenti segmenti del vivere evangelico. In Italia, ma anche nel mondo (era stato membro di Fede e Costituzione del Consiglio ecumenico delle Chiese). Per lui l’unità dei cristiani si faceva, prima di tutto, mettendosi in ascolto della Parola di Dio e già vivendola come realtà esistenziale, fraterna e di fede, non da estraneo o da “fratello separato”. Molto si potrebbe scrivere sulla sua figura e sulla sua opera ma, in un momento di crisi dell’ecumenismo (non tanto per motivi teologici, bensì per la storia, le guerre e i nazionalismi), conviene ricordare la sua coscienza di una comunità cristiana larga e variegata, oltre i confini. Peregrinava per piccole e grandi comunità cattoliche. Predicava con regolarità a Roma a Santa Maria in Trastevere.
Sentiva, come attesta la sua vasta produzione teologica di dover contribuire a rispondere alle domande dei contemporanei: scriveva su Dio, l’al di là e tant’altro. Combatteva la sua buona battaglia con la forza fragile della parola fino agli ultimi anni. Viene da apprezzare come una Chiesa, quella valdese, nella sua condizione di minoranza piccola ma sapida, produca personalità tanto significative per il cristianesimo italiano e la cultura italiana, quale è stato Paolo Ricca.