Ho sempre avuto una vocazione alla
stupidera. Ho fatto sempre ridere tutti fin da quando ero piccolo e mi sono sempre detto: «Se il Padreterno mi ha fatto
pataca ci sarà pure un motivo!». Per far ridere devi vedere delle cose che gli altri non vedono. Si può far ridere distruggendo, sgretolando l’altro. È un ridere che lascia l’amaro, si può prendere in giro perché vuoi bene all’altro. Per me fare il comico vuol dire entrare dentro l’altro, immedesimarmi in lui, capirlo e… prenderlo per i fondelli perché gli voglio bene. Se tu non ti vuoi bene, se tu non riesci ad accettare neanche te stesso, questa cosa non si riesce a fare e si diventa pesanti, cinici, corrosivi. Accetti la realtà nella sua positività ultima, per questo ridi. Ridi perché sei contento. Per godere della vita devi essere contento della vita. E la vita ti riserva sempre grandi sorprese, è infinitamente più grande della tua testa e dei tuoi pensieri. Me ne sono reso conto, ad esempio, negli anni in cui ho fatto il cameriere nella pensione Cinzia che i miei genitori avevano a Riccione. Il cameriere è il mestiere più nobile, è quello che ti fa assomigliare di più a Dio perché ha come scopo servire chi hai davanti, per farlo contento. Serve tutti ma non è servo di nessuno. Anche quando fai il comico il tuo lavoro è servire chi hai davanti, fare contento chi hai davanti. Anche Dio fa tutto per la nostra felicità, per farci contenti. Mio babbo diceva: «Quando sono contenti i clienti, siamo contenti anche noi». Me lo ha insegnato lui alla pensione Cinzia, lui che senza essere andato a scuola aveva imparato a parlare il tedesco per fare sentire a casa i suoi clienti. Noi dobbiamo servire la realtà. La regola vera della vita è che tu ti devi dare. Sì, ti devi dare perché, lo ripeto, la vita è più grande di te, non ti appartiene. Anche quando ti senti grande, quando ti senti potente, devi imparare a volare basso. Il che non significa sputare sulle tue qualità, trascurare il talento che il Padreterno ti ha messo nella zucca. Ma non posso dimenticare che tutto mi è dato, qualunque cosa mi è data. Né il talento, né la capacità di lavoro, né la capacità di rapporto ce li diamo da soli, ci vengono dati. Sono un regalo, un regalo che sta a te scoprire e "spendere". Edison, l’inventore, diceva che il anche il lavoro più creativo è cinque per cento ispirazione e novantacinque per cento traspirazione, cioè sudore e duro lavoro. Il talento è come il motorino d’avviamento, il motore vero è il lavoro, e il lavoro comporta fatica. Quando nel 2002 sono arrivato a
Zelig, e dopo il primo successo ho chiesto a Gino e Michele cosa dovevo fare per diventare un bravo comico, mi hanno detto tre cose: primo, avere talento; secondo, lavorare sodo, se desideri arrivare devi fare fatica; terzo, avere una grande capacità di rapporto, perché da soli, senza maestri, non si va da nessuna parte.Nel tempo ho capito che il talento sono io. Se tu non vuoi migliorare e portare frutto, nessuno può farlo al tuo posto. Lavorare per un comico vuol dire vivere, stare con la gente, farsi colpire. Se non ti fai colpire, se sei superficiale, le battute non ti vengono in mente. Non puoi lavorare da solo, devi lavorare con qualcuno. Ad esempio i tempi: per me è importante avere un regista che mi ascolta e mi dice: «Aspetta, qui ci vuole una pausa». Per un comico le pause sono tutto. Sono il segno del rispetto per chi ti ascolta. Con gli stessi ingredienti puoi fare due minestre diverse. Un bravo comico impara a essere aperto, a farsi colpire da tutto. Ma si fa colpire da tutto chi non ha paura della realtà, chi la guarda con un volto amico. E questo vale per tutti, mica solo per un comico: se pensi di dominare la realtà imponendo le tue regole, ti fai male.