Intervista. Marco Paolini: «La cultura è in ritardo sulla tecnologia»
Marco Paolini nella favola fantascientifica “Le avventure di Numero Primo” (foto Calimero)
«La cultura è in ritardo sulla tecnologia. Lo scriveva già il sociologo statunitense William Ogburn nel 1922 presentando la teoria del “ritardo culturale” sulla cultura materiale. Oggi mancano filosofi, scrittori e sociologi che discutano su quale strada prendere prima che le scelte che condizioneranno il nostro futuro siano irreversibili». Marco Paolini ha lo sguardo rivolto verso al futuro, che è già iniziato nel nostro presente, e lo fa da attore, «semplicemente raccontando perché sono una persona curiosa». E ponendo delle domande sui nostri destini in mano alla tecnologia ne Le avventure di Numero Primo , lo spettacolo con cui Paolini è in scena al Piccolo Teatro Strehler fino al 10 dicembre e poi in tour, ma che è anche un avvincente romanzo edito da Einaudi scritto insieme al sociologo Gianfranco Bettin. Una sorta di fiaba fantascientifica dolceamara, in cui per la verità si sorride molto, che racconta di un misterioso e intelligentissimo bambino, un ibrido genetico di nome Numero Primo, creato da una intelligenza artificiale dotata di autocoscienza e affidato a Ettore, un maturo fotografo antitecnologico, che ne diventa il padre. Dietro i sorrisi e la commozione, si dipana un inquietante thriller internazionale.
Come mai Marco Paolini, dalle odi civili del passato, si occupa di tecnologia?
«Perché esiste un processo evolutivo nelle cose, diverso da quello della biologia ed è molto più veloce. Ma non esiste una disciplina che indaghi sulla storia degli oggetti che ci accompagnano: se lo facessimo capiremmo quando abbiamo imboccato strade sbagliate e potremmo imparare. Per questo è nato il mio progetto #madreincerta, che sarebbe la madre delle cose che noi usiamo la cui evoluzione, da quando sono connesse alla rete, accelera esponenzialmente. Ne fanno parte lo spettacolo e il romanzo Le avventure di Numero Primo, insieme a un altro monologo Tecno filò. Technology and me e l’oratorio #Antropocene che ha debuttato al Massimo di Palermo (a maggio al Regio di Torino e a giugno al San Carlo di Napoli) dove io, l’uomo, dialogo col rapper Frankie hi-nrg mc nei panni della macchina, accompagnato dal violoncellista Mario Brunello».
Cos’è per lei la tecnologia?
«È natura ciò che trovo quando nasco, è tecnologia tutto ciò che è nato dopo di me e che impiego un sacco di tempo a imparare perché così mi hanno detto che dopo farò prima. Se questo riguarda me, riguarda anche chi viene dopo di me. Cerco di raccontare delle storie che diano una speranza».
Nel romanzo e nello spettacolo ci sono anche aspetti molto inquietanti
«Il mondo virtuale ha un peso che non va ridicolizzato, ma analizzato e relativizzato. La contrapposizione artificiale e naturale non può portarci avanti. Un amico ingegnere, Paolo Gallina, che insegna a Trieste, nel saggio L’anima delle macchine , ha teorizzato che la molla evolutiva sia l’incontentabilità. Il progresso non è guidato da processi razionali, ma da un processo irrazionale che si riassume in una parola: “è figo!”. Solo che, siccome siamo la specie più invasiva e responsabile della vita delle altre specie, dovremmo domandarci quali saranno le conseguenze. Non tutte le scelte che potremo fare saranno reversibili».
Lo dice anche papa Francesco.
«Oltre ai testi di Kevin Kelly, Günther Anders e Erwin Schrödinger, su cui ci siamo basati con Bettin, ho scoperto la Laudato si’ che parla anche di tecnologia ed ecologia culturale. Mi son trovato sulle stesse posizioni di Francesco. Come dice lui stiamo vivendo una Apocalisse lenta. Quanto ci vorrà per capire che quello che abbiamo costruito, ovvero internet, è altrettanto importante per la nostra vita che il respiro e se lo inquino sto facendo danni irreparabili? Quindi la rete bisogna non sporcarla, ripulirla, usarla con parsimonia».
Lei immagina nel libro un’intelligenza artificiale destinata a dominare il mondo.
«L’intelligenza artificiale c’è già, diffusa nella re- te. Quali le implicazioni che derivano dal fatto che ognuno di noi affida i propri dati, i codici di sicurezza? Tutte le reti complesse sono più comode ma meno neutre delle reti semplici. L’interdipendenza è un vantaggio, ma è anche un elemento di fragilità che potrebbe mettere a rischio grandi nuclei di persone, e la nostra stessa esistenza».
Mentre Numero Primo è un bambino creato attraverso il genoma modificato.
«Stiamo andando verso l’evoluzione controllata della specie. Modificare il Dna a piacere ed accelerare l’evoluzione biologica che in caso di cambiamenti climatici del pianeta renda gli esseri umani capaci di adattarsi, in teoria si può. Dicono che la medicina del futuro istruirà cellule specifiche a dare risposte attraverso enzimi inseriti in prodotti dell’alimentazione. Mentre la nuova frontiera su cui l’industria privata sta lavorando è connettere tutti alla rete del Grande Fratello attraverso dispositivi che sfruttano la plasticità cerebrale. Magari non avrà successo come gli occhiali di Google. Ma occorre porsi delle domande: come si difenderà la salute delle persone? Quali le chiavi di sicurezza per chi vuole hackerarci il cervello?».
In futuro le macchine ci supereranno?
«Lo sviluppo dell’intelligenza artificiale e l’aumento dei cervelli umani sono collegati, perché gli uomini hanno paura che le macchine li cancellino. Adesso pensiamo che rispettare l’evoluzione naturale del cervello sia troppo lento. Collegandosi a internet e modificando il genoma, potrebbe vedere coesistere in futuro diversi tipi di umani, aumentati, tradizionali, spinti. Un po’ come ai tempi dei Neanderthal e Sapiens. Penso che sia un alibi per giustificare quelli che vogliono truccare la corsa».
Ma c’è speranza?
«Se le macchine ci assomigliano, in futuro non ci saranno macchine contro uomini, ma ci saranno macchine buone e macchine cattive come noi. Numero Primo è una speranza. Non ci sostituisce, è una macchina che ha scelto da che parte stare, contro le macchine e gli uomini che hanno forza e potere e che spingono, in un delirio di onnipotenza, a sostituirsi al Creatore».
E poi c’è il fattore umano, Ettore, il padre in carne ed ossa.
«O affidiamo del tutto la coevoluzione culturale alle macchine, e allora ci serve solo la linea biologica e ci basta la madre. O diamo un peso alla coevoluzione culturale che arriva da tutte le parti, e allora ridiscutiamo la figura del padre, con le sue specificità. Perché le famiglie sono essenziali come gli Stati».