Il personaggio. Pallottino e il testo di «4/3/1943». Così è nato Dalla
Paola Pallottino con Lucio Dalla in una foto degli anni Settanta.
Tra la vita e la morte continua il 'mistero' di Dalla. Quello che lo vede regolarmente ricordato da cinque anni a questa parte, più di quanto sia capitato agli altri grandi della canzone. Forza della sua popolarità, di canzoni rivolte a tutti e a ciascuno e del misterioso caso che ha concepito questa sorta di giornate dalliane, tra la data della sua morte (avvenuta il 1° marzo 2012 in Svizzera) e quella della nascita, il 4 marzo 1943. A ricordarlo è anzitutto la sua Bologna. L’altro ieri con la santa messa nella basilica di San Domenico e con le sue canzoni che risuonavano in città; ieri, oggi e domani con tre serate (protagnosti da Pupi Avati a Gabriele Muccino, da Enrico Rava a Rita Pavone fino ai giovani Brunori e Dente) che vanno ad arricchire il programma di 'A Casa di Lucio va in città' che prevede percorsi attraverso alcuni dei luoghi di Dalla fino alla casamuseo di via D’Azeglio. Intanto fino all’8 marzo è nei cinema di tutta Italia il film di Riccardo Marchesini «Caro Lucio ti scrivo», tratto dall’omonimo spettacolo teatrale. (M.Ion.)
L’unica donna della sua vita compositiva, colei che gli dette e ne dettò i natali artistici. È grazie a Paola Pallottino se Lucio Dalla per la gente di quel porto da cui vanno e vengono le canzoni «si chiama Gesubambino. «Tutto attaccato. Così com’era il titolo nella versione originale che venne, anche in altri punti, censurata. Necessaria condizione perché potesse partecipare a Sanremo. Accettai sia la censura sia il fatto che andasse al Festival, idea che non mi piaceva affatto». Sono passati 46 anni da quella sorta di battesimo e la innovativa coautrice della celeberrima 4/3/1943 ricorda quell’impensabile sodalizio che vide la strana coppia («era insolito che una donna potesse avere accesso al ristretto ambiente autoriale maschile... e infatti ben presto tutto ebbe fine») lanciarsi nell’etere, conquistare il podio più ambito, scalare la hit parade e varcare i confini nazionali (il brano fu cantato anche da Dalida e da Chico Buarque de Hollanda). La collaborazione con la storica dell’arte, illustratrice (autrice, tra l’altro, della fondamentale Storia dell’illustrazione italiana) e paroliera Paola Pallottino (figlia dell’etruscologo Massimo Pallottino) cominciò un po’ per caso. «Io, romana, ero arrivata a Bologna dalla Tunisia dove vissi un paio d’anni per lavoro con mio marito, architetto e urbanista, Stefano Pompei (figlio di Mario Pompei, scenografo, illustratore e scrittore, ndr). Appassionatami di Brassens e Brel, scrivevo versi. Alcuni amici mi consigliarono di portarli a un certo Lucio Dalla. Fu subito disponibile e nel 1970 uscirono i nostri primi due brani: Africa e Orfeo bianco. Niente, a confronto con quello che successe un anno dopo con ciò che io chiamo ancora Gesubambino ».
Perché scelse quel titolo così rischioso e “impegnativo”?
«Voleva essere un mio ideale risarcimento a Lucio per essere stato orfano dall’età di 7 anni. Doveva essere una canzone sull’assenza del padre, ma poi è diventata una canzone sull’assenza della madre. Lucio la cantò la prima volta dal vivo nel dicembre del ’70 al teatro Duse di Bologna. Piacque così tanto che i discografici della Rca decisero di portarla a Sanremo. Fu il suo primo grande successo, ma Lucio ne rimase anche un po’ prigioniero. Così negli anni l’ha riproposta in varie versioni, facendole però un po’ perdere quel fascino iniziale che le era conferito anche dal violino di Renzo Fontanella (membro del gruppo di Dalla, Gli Idoli, ndr). Quella che uscì allora in 45 giri ricordo che era la settima versione registrata in sala d’incisione, mentre invece secondo me era migliore la prima. Ma comunque non fu quello il nostro miglior pezzo, su cui Lucio raccontò suggestivamente che nacque alle isole Tremiti anziché a Bologna».
Quale fu invece secondo lei il vostro vertice?
«Uno dei due fu quello che ci fece anche litigare, Il gigante e la bambina. Io gliel’avevo cucita addosso per il suo dopo Sanremo, quando di solito tutti quelli che hanno avuto successo poi crollano. Ma lui s’intestardì e la volle regalare a Rosalino Cella- mare che aveva appena esordito a 16 anni e non aveva la maturità per interpretarla come io intendevo. Poi Lucio se ne pentì e se ne reimpossessò, ma ormai il gioco era fatto».
E anche in quel caso ci furono problemi con la censura per il riferimento a una vicenda di cronaca e di pedofilia...
«Ma il testo e la musica erano in chiave poetica, con un ricorso a metafore che rendeva tutto lieve. Così come ho fatto con Anna Bellanna, la mia canzone preferita, in cui il delitto passionale commesso da una donna viene trasfigurato e reso meno crudo. Il nome Anna era ispirato alla bellissima sorella del compianto Renzo Cremonini, che era il produttore e factotum di Lucio, dopo essere stato anche aiuto regista di Fellini per il film Roma ».
Tra voi nascevano prima i testi o la musica?
«Lucio era un fenomeno, riusciva a rivestire di note ogni mia parola aiutato anche dal mio rigore per la metrica. Solo anni dopo ho capito che il ruolo del paroliere è invece quello di mettere i propri versi su una canzone. Forse però gli ho fatto da palestra per quello che avrebbe poi fatto con il grande Roberto Roversi. Certo, Lucio si è spesso sfogato dicendo di essersi sentito un po’ troppo costretto dalle esigenze letterarie di quel sommo maestro, ma in definitiva Roversi gli ha fatto da levatrice. Basta vedere le canzoni stupende che Dalla ha scritto quando ha cominciato a fare anche i testi, da Come è profondo il mare in poi. A me resta il cruccio che non sia mai stato pubblicato l’ultimo nostro brano».
Vuol dire che c’è un inedito di Dalla rimasto nel cassetto?
«Sì, si tratta deLa ragazza e l’eremita di cui poi avevo dato il testo ad Angelo Branduardi che l’ha musicata e cantata nell’album Domenica e lunedì del ’94. Anni fa Marco Alemanno scoprì la versione completa realizzata da Lucio: musicata, cantata e incisa in sala di registrazione secondo tutti i crismi. È lì, pronta per essere pubblicata. Alemanno sostiene di averlo proposto agli eredi di Dalla, ma finora non ne hanno voluto sapere».
Com’era Dalla per Paola Pallottino?
«Lucio era un po’ uno streghino, ti osservava, capiva subito il tuo punto debole e a volte ne approfittava. Poteva essere molto duro, ma poi se ne dispiaceva e diventava dolcissimo. Così come sapeva essere generoso, ma anche molto tirchio. Una volta lo misi alla prova e finsi di avere bisogno di un piccolo prestito, ma lui accampò la scusa di avere messo tutto in banca su un improbabile conto vincolato. Era ondivago e amabilmente contraddittorio. Su di lui credo abbiano sempre pesato la mancanza del padre e, nel bene e nel male, l’ingombrante figura materna, la signora Iole».
Che fece di tutto per fare di quel figlio un fenomeno...
«Fin da piccolo. Lo faceva cantare e recitare in tanti spettacoli. Si esibiva in tutto, forte di quella faccina furba e intelligente. Ho delle foto in cui si vede Lucio a 6-7 anni danzare con una bambina che poi, poverina, morì suicida. Avevo proposto a Marco Alemanno di fare una raccolta con tutte queste inedite foto di Lucio piccolo. Ma poi è andata com’è andata, sia per Dalla sia per Alemanno. Sono passati cinque anni dalla morte di Lucio. E devo dire che, se non sono scoppiata in lacrime alla sua morte, con il passare del tempo mi sta mancando sempre più».