Sport e speranza. Palestina, il calcio sotto le bombe
Alberto Giacomini con i bambini palestinesi in un progetto di calcio solidale di Inter Campus
Il 7 ottobre 2023, la data infernale dell’inizio dell’ultimo conflitto israeliano-palestinese, Alberto Giacomini si trovava al “Joseph Blatter Academy“, il centro sportivo ad Al-Bireh, alla periferia di Ramallah per il suo annuale stage con i piccoli calciatori (un centinaio) e 50 tecnici palestinesi. «Poi è scoppiata la guerra e dopo due giorni ci hanno imbarcati sul volo che ci riportava a Milano», dice mister Giacomini che è anche insegnante di educazione fisica al Collegio San Giuseppe Villoresi di Moanza.
In Palestina lui va dal 2004. «Mi ha portato Inter Campus con il progetto di inclusione che prevedeva dei tornei in cui siamo riusciti a fare giocare insieme bambini palestinesi e israeliani. Due tornei siamo riusciti ad organizzarli, uno a Giargiulia e l’altro a Gersusalemme. I bambini all’inizio erano diffidenti, poi con l’andare dei giorni nel campus si creava quella complicità e la solita magia del correre tutti dietro allo stesso pallone. Il problema era che una volta che tornavano nelle rispettive case, la frattura si riapriva. E noi ogni sei mesi eravamo costretti a ricominciare da capo e a ricucire un dialogo che in questo momento purtroppo si è interrotto... Il mio sogno è quello di poter tornare con il nuovo progetto Fifa che avevamo appena cominciato. Dalla Palestina ce lo chiedono di continuare e sperano che questo accada presto».
Intanto però dal cielo sopra la Striscia di Gaza piovono bombe. Ma i calciatori della nazionale della Palestina, bomba o non bomba arriveranno comunque al debutto in Coppa d’Asia. Domenica 14 gennaio , ore 18.30, allo stadio Education City, alle porte di Doha, si gioca Iran-Palestina. Il cammino di avvicinamento alla Coppa d’Asia di Qatar 2024 non è stato facile per i nazionali del ct Makram Daboub. Un esilio forzato in Giordania, ultime gare di qualificazione disputate in campo neutro lontano da Ramallah, e una condizione psicologica sempre sull’orlo di una crisi di nervi.
«I miei ragazzi si sentono isolati, fuori dal mondo e si portano dentro un’ansia costante a causa del conflitto con Israele». La guerra fratricida che non fa sconti a nessuno e miete vittime anche nel mondo del calcio. Circa 70 i calciatori palestinesi che sarebbero rimasti uccisi nel conflitto attuale, che sommati a tecnici e dirigenti arrivano ad oltre cento. In più 15 impianti sportivi sono stati resi inagibili dai bombardamenti incessanti. Ma dalle macerie di questo tempo assurdo da lacrime e sangue, la Palestina prova a rialzarsi, anche con il calcio.
La nazionale, nata nel 1962, ma riconosciuta dalla Fifa solo nell’anno mondiale di Francia 1998, è l’orgoglio di un popolo. Nei mesi scorsi, per stare vicino al loro popolo molti dei nazionali non sono riusciti a rispondere alle convocazioni. Alcuni erano proprio impossibilitati a lasciare la Striscia di Gaza. C’è poi chi ha declinato per lutto. Mentre si allenavano in Arabia nel ritiro palestinese è giunta la notizia della morte di Hani Al-Masdar, il 42enne ct che guidava la Nazionale olimpica. Ad uccidere Al-Masdar sono state le schegge impazzite cadute sulla sua casa nei pressi del villaggio del Governatorato Centrale di Gaza.
Scene apocalittiche quelle del post bombardamento che ha ancora negli occhi l’ex nazionale Said al-Kurd, la cui immagine, mentre recupera le medaglie vinte in carriera nella sua casa completamente sventrata dai bombardamenti, ha fatto il giro del mondo.
«Il mondo guardi al nostro popolo e a questa squadra che vorrebbe vivere normalmente come gli altri» è l’appello del ct palestinese che martedì sera ha provato un momento di serena soddisfazione nel vedere i suoi fermare sullo 0-0 l’Arabia Saudita di Roberto Mancini. Un pareggio quello con la Palestina che ha messo ancora più in crisi il ct italiano, il “Mancio” dopo le ultime convocazioni in vista della Coppa d’Asia ha subito le critiche di stampa e tifosi i quali gli rinfacciano di «vedere un altro campionato».
La nazionale palestinese festeggia un gol - ANSA
Ma queste sono cose da sceicchi, (20 milioni l’anno l’ingaggio di Mancini), mentre il povero calcio palestinese con i pochi fondi rimasti e qualche aiuto umanitario internazionale è lì a sperare in questa competizione che affronta con lo spirito da fuga per la vittoria. «È già un successo esserci», ha detto nei giorni scorsi il carismatico leader della squadra Mohammed Rashid, il quale ha confessato i timori quotidiani e le paure che marcano a uomo ogni singolo componente della selezione palestinese: «Siamo sospesi come dentro una bolla, abbiamo paura persino di guardare i cellulari perché potremmo trovarci il messaggio che ci informa della perdita dei nostri cari. A Gaza è un inferno, hanno distrutto persino la sede della federazione. Non ci resta che giocare per quelli che non ci sono più, per le persone a cui abbiamo voluto bene e soprattutto ogni vittoria servirà a dare speranza al nostro popolo, a cominciare dai nostri piccoli tifosi».
Un pensiero tenero e commosso per quei bambini che, come in ogni parte del mondo, anche in Palestina crescono con il pallone al piede, giocando per le strade sempre più sgarrupate per colpa delle ferite inferte all’asfalto da questa assurda guerra. Sono 5.300 finora i bambini palestinesi rimasti uccisi nella Striscia di Gaza. Molti di loro sognavano di diventare un giorno come Messi o almeno di poter giocare nella serie A palestinese.
Qui il campionato di massima serie si divide in due tornei: il torneo della Cisgiordania e quello della Striscia di Gaza. La maggioranza arrivano da questi due tornei. Solo uno gioca in Europa, il portiere Kaddoura . Fino a poco tempo fa nella nazionale anche Yashir Islame il quale è nato in Cile dove ha sede il Deportivo Palestino, squadra fondata a Osorno nel 1920 dagli emigrati palestinesi e che milita nella massima serie cilena ed è un feticcio di molti appassionati di Fifa Mobile.
La Palestina però non vuole essere solo un gioco virtuale e dopo la Coppa d'Asia proverà a qualificarsi per i mondiali: “Questa nostra nazionale rappresenta il desiderio di uno Stato che vorrebbe essere libero e sovrano”, parola del ct Daboub.