È almeno da quando Israele uscì vittorioso nella Guerra dei sei giorni, 1967, che Amos Oz si è fatto sostenitore della "soluzione dei due Stati", ovvero di quell’atto politico grazie al quale israeliani e palestinesi accettano di convivere pacificamente costituendosi in due Stati autonomi con Gerusalemme che si sdoppia diventando a ovest capitale di Israele e a Est capitale dello Stato palestinese. Oz – che nasce Amos Klauser e, figlio ribelle, decide giovanissimo di entrare in un kibbutz assumendo il cognome Oz, che in ebraico vuol dire «forza» – ha spiegato ai giornalisti che gli rivolgevano domande ieri mattina, che all’epoca a sostenere la soluzione dei due Stati erano in quattro gatti: «Eravamo così pochi che se ci fossimo dati appuntamento una cabina telefonica sarebbe bastata per tutti». Mentre dice questa battuta, si legge negli occhi dello scrittore israeliano un lampo di orgoglio e di soddisfazione: Oz dice che oggi l’opinione pubblica è più favorevole, tanto in Israele quanto nei territori palestinesi, ad accettare questa soluzione: «Secondo sondaggi recenti e da quanto si può leggere sui giornali, oggi il consenso a questa idea è molto cresciuto, si parla di circa un 60% dell’opinione pubblica favorevole». Qualcuno gli fa notare che per chi viene da fuori, non sembra che il clima in Israele, anche da parte di certi esponenti dell’intellighenzja israeliana di sinistra, sia così positivo, anzi, parecchi vedono i «palestinesi come mosche». Questo, secondo Oz, non è indice di una maggioranza ostile, è semmai la conseguenza della frustrazione di una sinistra che, a fronte del governo di destra di Netanyahu, «si sente senza potere e sa che non ci tornerà tanto presto, mentre vorrebbe essere lei oggi a condurre i negoziati. D’altra parte, la sinistra dovrebbe essere contenta di vedere che, pur uscita sconfitta politicamente, trova ascolto per le sue idee nella destra al potere». Ma – confessa Oz, intellettuale laburista – «se oggi il governo di destra riuscisse a portare a compimento la soluzione dei due Stati, ne sarei felice ugualmente, perché sarebbe molto peggio se non accadesse, inoltre vedrei realizzato un sogno di cui sono stato, in qualche modo, un padre oltre quarant’anni fa». Ma che cosa manca perché questo sogno divenga effettivamente realtà? «Manca il coraggio delle leadership», risponde Oz. «Quella dei due Stati è l’unica soluzione oggi possibile per arrivare alla pace, ci vuole più coraggio. Il Medio Oriente è come un paziente che si sente pronto per andare sotto i ferri, ma si trova nella situazione di avere dei chirurghi che tentennano e non hanno il coraggio di operare». La pace è il tema di sempre sullo sfondo di questa lunghissima storia di conflittualità fra israeliani e palestinesi. E l’America è stata, storicamente, il grande mediatore che cerca di comporre gli interessi di due popoli recalcitranti. Quali argomenti in più avrà Obama rispetto ai suoi predecessori per convincere le parti a dialogare seriamente? «Beh, Bush più che interessarsi della pace, sembrava preoccupato del processo con cui poterla creare. Obama sembra invece pensare più alla pace concreta e prima o poi verrà allo scoperto con la sua idea, formulerà una proposta e si confronterà con le proposte che verranno dall’Onu e dall’Occidente». Alla domanda su quali nemici troverà davanti a sé questo progetto di pacificazione Oz risponde che il nemico è quello di sempre: il fanatismo. «Temo il fanatismo da entrambe le parti, tanto quello di Hamas quanto quello dei coloni ebrei in Cisgiordania. Tutta la mia opera letteraria si occupa dei conflitti tra individui, i miei romanzi si chiudono sempre o con un finale aperto o con compromessi inaspettati. Credo nel compromesso e capisco i giovani idealisti che pensano che sia sbagliato. Per me il compromesso è sinonimo di vita e il suo nemico non è l’idealismo, ma proprio il fanatismo. D’altra parte, penso di essere uno che di compromessi se ne intende se sono sposato con la stessa donna da cinquant’anni». Lo humour di Oz sollecita una domanda sul perché il matrimonio e la famiglia siano dei cardini della sua narrativa (come nel romanzo autobiografico
Storia di amore e di tenebra). Oz replica spiegando che considera il matrimonio e la famiglia l’istituzione umana «più misteriosa, paradossale, tragica e comica dell’universo. Molti – dice – proclamano la morte della famiglia, eppure, nelle sue forme diverse, essa continua a perpetuarsi in tutto il pianeta ed esiste ancora. Anche quando parlo di israeliani e palestinesi mi piace usare la categoria della famiglia, quella di una famiglia infelice, che abitando la stessa casa ha bisogno oggi di un divorzio equo, ha bisogno che da quella casa si creino due appartamenti autonomi». Qualcuno gli fa notare che la tensione è tale che qualche giorno fa David Grossman aveva fatto intendere di voler abbandonare Israele. Anche lui vorrebbe fare lo stesso? «Anche se a volte la odio, come succede in tutte le famiglie, non intendo affatto lasciare Israele, a patto che non mi impongano il silenzio. Subito dopo il clamore suscitato dalle sue dichiarazioni anche Grossman ha detto in televisione che le sue pargole sono state equivocate, che non vuole lasciare Israele. Ha fatto bene, dobbiamo lottare qui per arrivare a quel compromesso che significa pace e vita per tutti».