Agorà

Idee. Carlo Ossola rilegge il mito e le sue geografie culturali in Europa

Alessandro Zaccuri venerdì 8 dicembre 2017

Lo storico della letteratura e docente al Collège de France Carlo Ossola

Prima ancora di essere un luogo, l’Europa è un viaggio, è la traversata che la vergine Europa compie cavalcando il toro in cui Giove si è trasformato per sedurla. Dalla costa libanese di Tiro la bella e la bestia arrivano a Creta e lì tutto comincia, con una favola la cui finzione, annota Giovanni Boccaccio nelle Genealogie deorum gentilium, «è coperta da velo così trasparente che facilmente ne appare il significato ». Sì, ma qual è, e quale può essere oggi, questo significato tanto evidente da imporsi da sé? Per rispondere il critico Carlo Ossola, professore di Letterature moderne dell’Europa neolatina al Collège de France, si è impegnato in un viaggio che si annuncia lungo e all’insegna della complessità, perché la cultura del vecchio continente (come affettuosamente possiamo continuare a chiamarlo) è in realtà un intreccio di culture, subito codificato in età medievale nei termini dell’esperienza mistica e raziocinante, politica e visionaria. Aristotelica nell’impianto e platonica, o neoplatonica, nelle aspirazioni.

Molto Medioevo e molta complessità si ritrovano, coerentemente, in questo Europa ritrovata che per Ossola rappresenta il primo pannello di un trittico al quale si aggiungeranno presto Nel vivaio delle comete , annunciato da Marsilio per metà gennaio (è la raccolta dei ritratti di grandi autori occidentali già apparsi su “Avvenire”) e un Isolario mediterraneo nel quale non è difficile intuire un ulteriore omaggio al compianto Predrag Matvejevic, lo scrittore croato al quale il volume inaugurale è dedicato. Con pochi altri testimoni, negli anni Novanta Matvejevic ebbe il coraggio di appellarsi all’eredità e alla forza dell’Europa prendendo la parola da una posizione apparentemente decentrata, quella dell’ex Jugoslavia colpita dalle guerre civili. E tutto periferico, anche se destinato ad approdare tra le rovine e le dolcezze di una Roma irrinunciabile, è il tragitto suggerito da Ossola sulla scorta di materiali anch’essi anticipati su un giornale (“Il Sole 24 Ore”, per la precisione) e ora riordinati secondo una logica di programmatica divagazione.

Si procede lungo i margini della mappa non perché il centro non esista, ma perché - al contrario - un centro può trovarsi dappertutto, nella torre simile a un minareto che svetta a Glendalough, la località irlandese dove fu eremita san Kevin, oppure nella moschea costruita un secolo fa a Fréjus per favorire l’integrazione dei soldati appartenenti ai contingenti coloniali francesi. È centrale, al punto da riassumere in sé le funzioni di un impero intero, la torre di Belém a Lisbona, pronta ad avanzare nello scacchiere dell’Atlantico, ed è centrale il minuscolo beghinaggio di Anderlecht, il sobborgo di Bruxelles che dista poche fermate d’autobus dal quartiere-polveriera di Molenbeek. Sempre sulle tracce dei prediletti siti mariani (il vero approdo è offerto dall’affresco quasi del tutto dilavato di Saint-Pierre de Brancion, in Borgogna, nel quale le mani della Vergine «restano aperte, smisuratamente aperte, ad accogliere, ad occhi chiusi, anche nel transito»), Ossola è nello stesso tempo un pellegrino sorretto da un dichiarato impegno civile, come dimostra la riflessione sulla necessità di uscire dal sistema binario imposto dall’alternativa fra jus sanguinis e jus soli a favore di un modello di “reciproca permeabilità” sociale e culturale. In Europa ritrovata alla mappa di questo eccentrico Grand Tour si sovrappongono le meditazioni su alcuni dei miti fondatori di una tradizione impossibile da fermare in un solo luogo perché, come osserva Ossola, «il luogo è il limite» e in quanto tale ha «come conseguenza politica una necessaria prassi di condivisione », intesa non come «atto magnanimo», ma come «atto istitutivo di un fare politico che deve negoziare e fondarsi su un luogo a tutti comune».

Ecco allora il doppio movimento di Enea e Ulisse (il viaggio come fuga, il viaggio come ritorno), ecco il percorso iniziatico che nella fiaba di Apuleio porta Psiche a unirsi finalmente a Eros per concepire la piccola Voluttà, nelle cui fattezze già la sapienza tardo antica riconosceva un riflesso della beatitudine celeste. Sono gli elementi di un alfabeto simbolico del quale l’Europa di domani non può fare a meno, ma le cui occorrenze sono fin d’ora presenti dappertutto, in un rincorrersi imprevedibile di segni e di significati. Chi avrebbe mai sospettato, per esempio, che alla mummia moscovita di Lenin fosse riservata la stessa sorte di cui danno spesso notizia i leggendaria medievali? Un corpo che la terra si rifiuta di accettare e che alla terra ritorna solo dopo che è stato compiuto l’esorcismo, magari attraverso il rituale del “giudizio di Dio”. Lo stesso che Ossola esegue per via letteraria quando, di ritorno dallo splendore carolingio di Germigny-des-Prés, si sofferma su un verso di Max Jacob, il poeta di origine ebraica morto nei campi di sterminio nonostante la conversione al cattolicesimo: «Quanto si distende questa Loira! Si distende quanto il cielo».