Il festival. "Oriente Occidente", la danza cancella la disabilità
I ballerini Shmuel Dvir Cohen e Tomer Navot in "Go Figure" di Sharon Fridman
Un angelo le cui ali sono stampelle vola sollevato da un uomo su una musica senza tempo in una atmosfera onirica. Sono 50 minuti di pura poesia quelli proposti dal coreografo israeliano Sharon Fridman in Go figure (letteralmente va a vedere) visto ieri sera in prima assoluta all’Auditorium Melotti di Rovereto per il Festival di danza Oriente Occidente. Incontro di culture che lo coproduce con la Mash Dance House di Gerusalemme.
Go figure, che sarà in tour anche a Forlì, Roma e Bologna, è lo spazio di incontro straordinario di due danzatori, Shmuel Dvir Cohen, terapista di bodymind movement, in passato economista e analista hi-tech, affetto da una sindrome neurologica che influenza il controllo della sua muscolatura, e Tomer Navot, danzatore e insegnante di tecnica di contact improvisation. I due hanno iniziato a lavorare insieme da 5 anni nella compagnia israeliana Vertigo di Nora Vertheim composta da nove danzatori disabili e non in un kibbutz tra Tel Aviv e Gerusalemme, fino ad incontrare il coreografo Fridman. I due gli hanno chiesto di dare letteralmente corpo a un loro duetto che, dopo un lavoro lungo 4 anni, “perché lavorare con la disabilità comporta tempi diversi” spiega ad Avvenire Sharon Fridman, si è trasformato in un piccolo grande capolavoro. Dove il limite tra disabilità e abilità sfuma in un intreccio di corpi che si sostengono a vicenda con estrema fluidità ed eleganza. Dapprima entra solo sulla sua carrozzina elettrica Shmuel, per poi abbandonarla ed agire insieme a Tomer con l’ausilio delle stampelle che diventano elementi architettonici per infine, lasciarle andare e restare solo a contatto con i propri corpi in una intrecci dalla fantasia sorprendente, tra fragilità e cura, dove la disabilità scompare subito per farsi arte.
Il ballerino israeliano Shmuel Dvir Cohen in "Go figure" a Rovereto - Foto di Guido Mencari
“Guardo a Shmuel come a un angelo che cade dal cielo nella nostra realtà” spiega il coreografo che nel 2006 ha fondato la Sharon Fridman Company a Madrid sviluppando una tecnica chiamata Ina (Contact InCreation) incentrata sulla relazione tra gravità ed equilibrio, ispirata alla madre, nata con la sindrome di Arnold Chiari. Che però precisa subito: “Non sono condizionato da quello che pensa la società sulla disabilità. Ho dipinto su una tela con dei colori diversi. Loro due hanno creato un rapporto intimo e di fiducia fra di loro e sono una cosa sola. Mentre Tomer lavor con tutte le sue abilità quindi equilibrio, forza e potere, Shmuel ha un corpo unico, è più elastico, le sue linee sono più concrete e nuove. E’ pura bellezza”.
A 43 anni dalla sua fondazione il festival di danza contemporanea Oriente Occidente, in scena a Rovereto dal 2 al 10 settembre, conferma così la sua vocazione “etica ed estetica” come la definisce il direttore artistico del festival Lanfranco Cis, cofondatore del festival insieme al compianto Paolo Manfrini. Ben 40 eventi tra spettacoli e conferenze, 211 artisti e artiste da 16 Paesi diversi dei tre continenti affacciati sul Mediterraneo, all’interno del progetto triennale “Mediterranei”.
"Al centro ci sono creazioni che sanno unire, come da sempre nell’identità del Festival, poetica e politica osservando attentamente la realtà e denunciando le emergenze sociali e climatiche contemporanee – aggiunge – Il titolo di quest’anno è “It’s time it’s time it’s time" dal discorso della giovanissima attivista ugandese Nakate all’apertura della conferenza Youth4Climate a Milano nel settembre 2022. Senza dimenticare i molteplici appelli di papa Francesco, fra cui quello con cui ha esortato i giovani alla Gmg di Lisbona a non mollare sul clima”. Si parte quindi dalle coreografe afrodiscendenti come Nadia Beugré e Dorothée Muyaeza “che mettono al centro tematiche legate al difficile passaggio del post colonialismo e alle questioni di genere”, che verranno affrontate stasera anche nell’intenso Strong born della greca Kat Vàlastur che trasforma il sacrificio di Ifigenia in un rituale femminista verso l'emancipazione. Perr arrivare fino a Michel Noret che affronta la catastrofe climatica e Marcos Morau che ha affrontato il tema del futuro dal punto di vista degli adolescenti. “C’è il bisogno di cercare bellezza per sentirci comunità e fare esercizio di cittadinanza e di umanità” conclude Cis.
Una scena della coreografia "String Bor" di Kat Valstur - Foto di Vito Walter