Musica. L'Orchestra Rai trionfa a Torino tra Hahn e Luisi
La violinista Hilary Hahn con il direttore Fabio Luisi all'Auditorium “Toscanini” di Torino
Avverti un silenzio assoluto mentre gli occhi (di molti) sono fissi su Hilary Hahn, sul suo violino. Impegnato con Sibelius, il Concerto in re minore del 1904. E poi con un doppio Bach, bis e ancora bis per un pubblico che non smette di applaudire. Perché il silenzio non è l’unica sensazione che avverti sulla pelle, seduto in platea all’Auditorium Rai Arturo Toscanini. Ti piomba addosso, dopo il tempo sospeso della musica, qualcosa a cui non sei (non eri, parliamo al passato) più abituato, il rumore di una sala piena, che applaude. Che è diverso, diversissimo dal rumore di una sala a metà, quasi timida a farsi sentire. Il gomito sullo stesso bracciolo. Le gambe del vicino che si accavallano invadendo (ma questa volta non la vivi come un’invasione di campo) il tuo spazio vitale.
Non c’era un posto libero nell’Auditorium Toscanini per il concerto inaugurale della stagione (annunciata per ora sino a dicembre, perché ci vuole ancora prudenza) dell’Orchestra sinfonica nazionale della Rai. Inaugurazione con doppia diretta, radiofonica su Radio 3 e televisiva su Rai 5, e con in prima fila il nuovo amministratore delegato della Rai Carlo Fuortes. Sul podio Fabio Luisi, direttore emerito dell’orchestra torinese – nominato di recente, incarico senza scadenza tre o quattro programmi l’anno e la compresenza con Robert Trevino, direttore ospite principale per tre anni. Solenne, composto, Luisi, la cui figura si staglia elegante sul podio.
Dirige senza bacchetta. Affonda le mani nella musica – Sibelius prima, Berlioz poi. Bella in assoluto. Anche solo ascoltata così, senza leggerci nulla in trasparenza. Bella la musica di Jean Sibelius e del suo Concerto in re minore per violino e orchestra. Problematico (e per questo, forse, ancora più affascinante) come il suo autore in quell’inizio di Novecento in cui la partitura ha visto la luce. Lo stesso periodo del Valse triste. Il sapore, certo, è quello. Il sapore di un paesaggio immerso nella nebbia (lo dipinge, chiaro, il tremolio iniziale degli archi) dal quale emerge pian piano un orizzonte. Sapore melanconico – l’Adagio di molto. Non disperato, però.
Così lo dipinge Luisi nella sua lettura misuratissima con i musicisti della Rai. E poi non è l’unico sapore. Perché c’è il terzo movimento, l’Allegro ma non tanto, tutto intriso di folklore, di melodie e ritmi di danze popolari che accendono il freddo delle visioni paesaggistiche dell’Allegro moderato iniziale. Ma soprattutto perché c’è Hilary Hahn al violino, in uno dei suoi rari passaggi in Italia – trent’anni di carriera, iniziata a undici anni, oggi luminosissima e nel pieno della maturità, dal 26 al 28 ottobre sarà in tournée a Francoforte, Colonia e Amburgo con l’orchestra Rai sempre per il Concerto di Sibelius, questa volta diretta da Robert Trevino che propone poi i Quadri di un’esposizione di Musorgskij.
Incredibile Hilary Hahn. Per la facilità con cui fa le cose più complesse – e a volte in alcuni passaggi non guarda nemmeno il violino, gira lo sguardo verso il pubblico. Per il suono che cava dallo strumento, terreno e siderale, rotondo e squadrato; sempre dolcemente malinconico – da brivido certe note acute, in un pianissimo che avverti perfettamente. Per la tavolozza di colori che sfodera, cangianti in un batter di ciglio. Per l’energia che non conosce tregua, si piega sulle gambe, a volte ne alza una, tiene il ritmo con la testa e quando non suona si gira e sorride agli orchestrali “cantando” le melodie di Sibelius. Talento puro, non si può dire altro.
Regala due bis, due Johann Sebastiana Bach di segno opposto, entrambi ipnotici. Li ascolta, seduto tra i leggii degli orchestrali, anche Luisi. Prima di tornare sul podio per una Symphonie fantastique tutta in crescendo, fino al roboante, sconquassante finale del Sabba che (quasi) ti fa male alle orecchie. Perché deve essere così, deve stordire quella musica che il compositore ha scritto con in testa l’idea fissa di un amore tormentato e violento. Che non trova pace nemmeno nel ritorno alla natura (gli echi che Luisi trova sono gli stessi della Sagra della primavera di Stravinskij) inquietante nella sua carnale, malata voluttà. La Fantastica di Luisi è un fiume in piena di suono grazie alla prova sontuosa (ma mai strabordante oltre il limite) dell’Orchestra Rai (e dei suoi solisti, tutti) con archi compatti e volanti, ottoni smaglianti (intonatissimi), legni pastosi e avvolgenti. È una danza macabra (bellissimo il Valse che Luisi vuole straussianamente decadente) nella quale senti un tragico, sinistro ghigno che ti rimbomba in testa anche quando la musica è spenta.