ANTICIPAZIONE. Omero e Montale, i libri di Barsotti
Per questo egli sentiva la necessità di entrare in rapporto di amicizia non solo con i teologi, gli scrittori ecclesiastici e i santi, ma anche con i letterati, i poeti, i filosofi, i musicisti, i pittori, compresi i peccatori e gli atei. Nel diario ci si imbatte spesso in lunghi elenchi di nomi di scrittori, che egli conosceva e con i quali aveva da tempo aperto un colloquio spirituale. Tra essi, nomi famosi come Omero, Sofocle, Virgilio, Dante, Shakespeare, Goethe, Dostoevskij, Manzoni, Balzac, O’Neill, Verga, eccetera, ma anche meno conosciuti come Li Po, Wang Wei, Hardy, Murasaki, e artisti e poeti quali Brecht, Neruda, Eliot, Kafka, Rilke, Montale, Chagall, Cervantes, Bach, Giotto… Il bisogno che don Divo aveva di leggere era consequenziale a quello di conoscere la realtà con gli occhi di questi grandi pensatori e artisti, per fare poi le proprie sintesi e trasformarle in vita propria. «L’uomo ha bisogno meno di mangiare il pane che i libri – affermava don Divo –; io non riesco a capire come si possa vivere senza sentire la necessità di studiare, di conoscere». Entrare in contatto con i Padri, i santi, gli uomini di genio, era addirittura più necessario che relazionarsi con il prossimo: «L’importanza che hanno le letture non l’hanno la conversazione e il rapporto personale». Anche se poi, evidentemente, era nel rapporto di carità con le persone in carne e ossa, che la ricchezza proveniente dalle letture diveniva vita. Per questo motivo non si può dire che egli ebbe dei veri e propri maestri. Anzi, don Divo stesso mette in guardia chi volesse fare una ricerca sulle sue fonti. Don Divo leggeva, pensava e scriveva, per poi prendere atto che altri, nello stesso tempo ma molte volte con altra formazione e in altri luoghi, diceva più o meno la stessa cosa, senza che vi fosse dipendenza reciproca. «Mi ricordo lo stupore che ebbi quando conobbi i libri di Durrwell – scrive don Divo all’amico don Emilio Grasso –: mi sembrò di averli scritti io stesso, tanto quel pensiero esprimeva in modo più sistematico quello che io avevo già scritto o pensato». Prima del Concilio Vaticano II don Divo aveva meditato e scritto, per esempio, sul valore della liturgia come accesso al mistero di Dio, o anche sulle religioni non cristiane come "praeparatio evangelica", o sui sacramenti della Chiesa come cammino di divinizzazione dell’uomo, o ancora sulla divina Rivelazione nelle sue fasi progressive. Su tali temi, sviluppati poi nella riflessione conciliare e resi patrimonio comune della Chiesa di oggi, egli trovò allora sintonie, più o meno profonde, con pensatori che andava conoscendo attraverso le letture e con i quali stabilì presto rapporti personali di dialogo epistolare e di incontri diretti; e parliamo di Henry de Lubac, Louis Bouyer, Jean Danielou, Hans Urs von Balthasar. Per questo motivo gli scritti di don Barsotti mantengono intatta ancora oggi, a distanza di cinquant’anni, una loro originalità. La libertà del suo pensare e del suo dialogare con interlocutori di tale livello, che stimava e amava, rimase comunque intatta fino alla fine, tant’è che su alcuni di essi, quali von Balthasar e lo stesso Durrwell, non mancava di esprimere perplessità su alcuni punti della loro teologia. Assolutamente in sintonia Barsotti si trovava con quei teologi che denunciavano il penoso divorzio tra teologia e spiritualità. Su questo punto probabilmente furono gli scritti del cardinal John Henry Newman quelli che apprezzò di più, ma anche Romano Guardini fu da lui letto con interesse.