Musica. Omer Meir Wellber, la bacchetta israeliana vola al Massimo di Palermo
Il direttore d'orchestra israeliano Omer Meir Wellber (foto Wilfried Host)
«Palermo è una città viva, il mio progetto è di fare entrare la sua energia dentro al Teatro Massimo». Parla diretto e veloce, in perfetto italiano con un leggero rotacismo tipico della lingua ebraica il direttore israeliano Omer Meir Wellber, un 36enne che si è affermato come uno dei principali direttori di oggi, sia del repertorio operistico che orchestrale. Lo dimostrano gli incarichi di prestigio che si susseguono a raffica. Nel 2018 è stato nominato direttore ospite principale presso la Semperoper di Dresda, dal prissimo luglio sarà direttore principale della Bbc Philharmonic e dal primo gennaio 2020 ricoprirà il ruolo di direttore musicale della Fondazione Teatro Massimo di Palermo. Fra le tante collaborazioni, quella con Daniel Baremboim fra il 2008 e il 2010, che lo ha ispirato nell’idea di diffondere la musica come potente strumento di cambiamento sociale dal 2009 nel suo paese natale Israele.
La sua Raanana Symphonette Orchestra, particolarmente impegnata in attività educative musicali, raggiunge più di 70.000 bambini ogni anno, mentre ha inoltre fondato Sarab – Strings of Change, associazione che porta l’educazione musicale ai bambini beduini nel Negev, uno dei luoghi più svantaggiati e discriminati della società israeliana. Nel frattempo il 9 marzo sarà al Massimo di Palermo con l’Orchestra del Teatro impegnata in un programma tutto russo (Rimskij-Korsakov, Prokofiev, Nevskij) mentre il 28 e 29 marzo sarà a Torino con l’Orchestra della Rai con la rara Messa in do minore di Mozart. Il maestro Omer Meir Wellber racconta in anteprima ad Avvenire il progetto che lo vedrà impegnato per cinque anni, secondo il contatto firmato con Francesco Giambrone, sovrintendente del Teatro Massimo, e Leoluca Orlando, presidente della Fondazione e sindaco di Palermo l’estate scorsa. L’attuale direttore Gabriele Ferro, rimarrà direttore onorario a vita.
Maestro, qual è il suo rapporto con l’Italia?
Bello e complicato. La mia compagna e mia figlia 2 anni e 10 mesi vivono a Milano. Io fra il Lussemburgo, Dresda e l’Inghilterra. Lei viaggia tanto, e io provo a venire ogni week end. Dal 2020 si aggiungerà Palermo.
Come nasce il suo rapporto con Palermo?
Nasce 8 anni fa: il mio primo impegno internazionale è stato proprio a Palermo, grazie all’allora direttore artistico Lorenzo Mariani che mi aveva ascoltato in Israele in Un ballo in maschera. Comunque il pubblico tradizionale lo trovi alla Scala, dove si lavora molto per i turisti. Invece a Palermo lo trovi molto meno: in una città così è inutile essere tradizionalisti perché non funziona, perché lì cambia la società e l’energia venticinque volte al giorno. Uno deve sempre rinnovarsi se no, non stai dietro alla città. A Palermo ho trovato garanzie economiche e culturali, il sovrintendente con cui si lavora benissimo e un sindaco sorprendente per la sua partecipazione al progetto del teatro.
Anche il maestro Omer Meir Wellber contribuisce quindi al riscatto di Palermo dal suo passato difficile?
Il motivo per cui ho scelto Palermo è porpio questo: una sfida anche nei confronti del suo passato complicato. Non si può tutta la vita accusare il passato per la mancanza di futuro. A Palermo nel nostro teatro non c’è nostalgia, si pensa sempre a come andare avanti. Noi stiamo programmando a tre stagioni di distanza, cosa molto rara in Italia. Più lavoriamo in anticipo, più si abbattono i costi e anche la qualità si alza in maniera importante.
Che percorso musicale le piacerebbe fare in questi anni?
Vorrei lanciare un messaggio multiculturale in linea con lo spirito di Palermo. Nelle cinque aperture di stagione che dirigerò, a partire dal 20 gennaio 2020, non si ripeterà mai una lingua. Avremo quindi cinque opere in cinque lingue diverse. I collegamenti fra titolo, regista e direttore verranno curati ad un livello più preciso. Non posso ancora anticipare i titoli, ma posso dire che farò una produzione con Emma Dante, che ha un rapporto importante col Massimo, e che sto portando registi di stile molto diverso fra loro. Il pubblico vedrà sul palco cose che creeranno discussioni, magari non piaceranno, ma questo è il nostro lavoro. Innovare.
Certo che fra l’anglosassone Bbc e la mediterranea Palermo lei si trova a lavorare in due mondi molto diversi.
La Bbc è tutta un’altra cosa, si tratta di un repertorio sinfonico e che ha l’internazionalità della trasmissione via radio. A Palermo invece occorre portare la vivacità della città dentro al teatro. Una città come Palermo è così positivamete caotica, che ogni tanto ti domandi come fai suonare il Siegfreddi Wagner mentre fuori c’è un caos pazzesco. La cosa bella è quando esci dal teatro a mezzanotte e mezza ed è pieno di gente e bambini che corrono. A Dresda non è proprio così (sorride. ndr.). Questo spirito giovane, attivo, molto costruttivo dovremmo portarlo in scena.
A proposito di giovani, ha pensato alla bella realtà della Massimo Kids Orchestra?
Nell’autunno 2020 farò delle prove con l’orchestra dei bambini, che aiuta tanti piccoli che vivono in situazioni di disagio. E la sa una cosa? Da quando sono diventato padre, trovo più noioso lavorare con gli adulti...
Lei è abituato a lavorare su progetti dedicati ai bambini in Israele.
Innanzitutto dirigo la Raanana Symphonette Orchestra, supportata dal Ministero dell’Educazione israeliano, educa decine di migliaia di bambini alla musica e ai valori della tolleranza e del dialogo. Poi con Sarab – Strings of Change lavoro per cambiare la realtà sociale dei giovani beduini aiutandoli a trovare nuove prospettive, migliorando la collaborazione e la comunicazione con le comunità ebraiche. I beduini sono la società piu povera di Israele, dove dilagano droga e criminalità e gravi problemi di estremizzazione. Il progetto è supportato dal Conservatorio di musica Beer Sheva. Sono inoltre ambasciatore di Save a Child’s Heart, un’organizzazione noprofit israeliana che fornisce assistenza medica per gravi malattie cardiache (tanti sono bambini palestinesi, siriani, rumeni e ogni tanto africani) e collabora con varie istituzioni che, con programmi di sensibilizzazione, attraverso conferenze didattiche, promuove la nuova generazione di studenti in direzione d’orchestra.
In questo c’è l’influenza del maestro Baremboim?
A 28 anni sono diventato il suo assistente, con lui ho cominciato a vedere che la musica ha a che fare con tutto. E da lui ho imparato che la musica si allarga alla cultura e alla società.
Per lei che è ebreo, quanto la musica a che fare con Dio?
Vedo una grande crisi nelle grandi religioni e ne parlo spesso con un prete molto amico. Ho scritto un libretto che vorrei pubblicare, un esperimento dove ho usato mezzi interpretativi musicali (come armonia, articolazione, etc.) sui testi sacri dal Vecchio al Nuovo Testamento. Il testo è diventato molto più vivo. Invece presto pubblicherò in Germania un romanzo che ha che fare con Israele. La storia di una persona, nata prima della Seconda Guerra Mondiale e che morirà nel 2040, diventando l’uomo più vecchio del mondo. La sua è la storia di un uomo passivo. Io conosco moltissimi sopravvissuti della Shoah e nessuno di loro è un eroe. «Io mi sono salvata perché Dio mi ha dimenticata» mi ha detto una volta una signora. Non si parla mai della gente normale la cui vita è stata distrutta. Attraverso il protagonista racconto una storia alternativa di Israele. Il libro inizia dal momento in cui lui arriva in Israele, ma quando da anziano si trova in un Paese sempre più estremista, come quello di oggi, non riconosce più la gente e decide di tornare a vivere in Europa, nonostante tutto quello che lì ha passato. Un lavoro politico? Sì, lo è.