La nuova vita artistica di Ermanno Olmi ricomincia da quel luogo che, in fondo, non ha mai abbandonato. Dalla
Terra madre, titolo del suo ultimo documentario e unica opera italiana ( finora) presente al Festival di Berlino (5- 15 febbraio). Evento speciale alla kermesse tedesca che segna anche il passaggio definitivo del regista bergamasco «al cinema di verità» . Dopo il successo de
I Centochiodi lo aveva promesso: « Mi dedicherò solo ai documentari » . È la passione originaria con cui ha detto di voler finire la carriera. E così è: già dal titolo, che più «alla Olmi» non si può,
Terra madre vuole rimarcare la modernità di quello sguardo classico che il mondo scoprì con il suo capolavoro,
L’albero degli zoccoli, quando per tutti divenne il cantore della vita contadina. «Voglio fissare attraverso le telecamere la felicità della Terra – ha spiegato Olmi – filmare questo atto di amore tra la Terra e le persone con cui lei è in confidenza e, tramite questo magnifico mezzo che è la pellicola, rendere chiaro a tutti il senso di Terra Madre» . L’idea, infatti, nasce tre anni fa a Torino, durante l’omonimo incontro internazionale tra le comunità del cibo, organizzato dalla Slow Food di Carlo Petrini. Lì sono cominciate le riprese, continuate durante il meeting di
Terra Madre nell’ottobre 2008. «Ho visto i contadini come li ricordavo nelle nostre campagne, durante la mia infanzia» , spiega detto Olmi, che ha ultimato di girare anche sull’altopiano della sua Asiago: «I volti dei contadini si somigliano in ogni angolo del mondo. Sono volti su cui restano le stesse tracce di vita, così come i paesaggi con i campi arati e i pascoli. Oggi quel mondo dei contadini è assediato dalle grandi imprese il cui scopo è il profitto. Anche il contadino vuole guadagnare, ma il suo attaccamento alla terra è un atto d’amore e di rispetto verso la Natura, mentre i potentati economici imponendo un’agricoltura forzata stanno distruggendo la biodiversità» . Partire dal cibo per raccontare il destino di tutti noi: «L’economia del mondo che deve tornare a essere ecologia e la sapienza contadina che riconquista la sua attualità» . Ma l’instancabile Olmi non si ferma qui. Di passaggio a Milano ha presentato Apocalypsis cum figuris, il documentario del 1979 che testimonia l’ultima messa in scena dell’omonimo spettacolo di Jerzy Grotowski, il grande regista teatrale polacco morto dieci anni fa esatti. Digitalizzato dal Teatro dell’Arte in collaborazione con la Rai, il documentario contiene materiale mai visto prima, come le discussioni tra Olmi e Grotowski su come realizzare le riprese di un’opera complessa, che mette insieme la tradizione popolare e quella biblica. «Un momento di vita che si fa teatro» secondo Olmi, che al tempo dovette convincere Grotowski dell’opportunità di "congelare" quell’evento teatrale, che non si sarebbe più ripetuto, in una testimonianza filmata. «Era un uomo forte del rigore della sua idea di teatro, con una certa diffidenza per il cinema e ancor di più per la televisione. Anche io sono convinto che il teatro in tv sia una cosa triste da vedere. Ma in quel caso lo rassicurai che non mi sarei sovrapposto, perché volevo solo fare in modo di lasciare un indizio del suo teatro. Grotowski accettò ma, quando cominciammo le riprese in studio, non ce la fece a reggere quell’intrusione delle telecamere e andò via» .