Agorà

INEDITI. Le Olimpiadi «mancate» di san Pio X

Gianpaolo Romanato giovedì 26 luglio 2012
Cose dell’altro mondo, dicevano scandalizzati i vecchi prelati romani, abituati allo stile ieratico di Leone XIII, che nei 25 anni del suo pontificato non aveva mai derogato dal "noi" e pranzato sempre rigorosamente da solo. Ora invece si vedevano scene incredibili: ginnasti che invadevano il Vaticano, facevano esercizi, piroette, piramidi umane, mostravano poco pudicamente polpacci nudi e braccia muscolose. E così un cardinale si decise a prendere di petto il nuovo papa, Pio X, e a fargli la ramanzina, che concluse con una domanda accorata: «Ma in questo modo dove andiamo a finire, Santità?». Il papa lo ascoltò in silenzio e poi gli rispose in dialetto veneziano: «Vorlo che ghelo diga? In Paradiso!». L’episodio, vero o inventato che sia, ritrae bene la personalità anticonformista di Pio X, che rinnovò a fondo la Santa Sede dopo i due lunghissimi pontificati di Pio IX e Leone XIII. Raccontato allora dall’Illustrazione italiana, oggi si può leggere in un gustoso libretto di A. Stelitano, Q. Bortolato e A.M. Dieguez, Pio X, le Olimpiadi e lo Sport, (Editrice San Liberale Treviso, pagine 146, euro 15), pubblicato per l’inaugurazione del neonato "Centro studi San Pio X", voluto dalla diocesi di Treviso in vista delle celebrazioni del centenario della scomparsa del papa trevigiano, nato a Riese nel 1835, eletto nel 1903 e morto nell’estate del 1914. Nel libro si ricorda appunto, sulla base di articoli giornalistici e delle rubriche della Civiltà Cattolica, la passione del pontefice (che da bambino andava a scuola a Castelfranco a piedi, facendosi ogni giorno una quindicina di chilometri) per le attività fisiche e la ginnastica, lo spazio che diede loro nei cortili vaticani del Belvedere, di San Damaso, della Pigna. Una passione che allora non piacque per nulla all’establishment vaticano e che oggi invece lo fa apparire figura meno arcaica di quanto non si continui a ripetere. Ma nel libro si ricorda anche un’altra storia interessante e finora sconosciuta che lo riguarda: i suoi rapporti con il movimento olimpico e con il suo fondatore. Il barone francese Pierre de Coubertin, cui si deve la creazione delle moderne Olimpiadi, era rimasto deluso dalla scarsa risonanza ottenuta dalla seconda e terza edizione dei giochi, che a Parigi (1900) e a St Louis, negli Stati Uniti (1904), erano stati oscurati dal contemporaneo svolgimento dell’Esposizione universale. Per rilanciarli pensò quindi di portare a Roma la quarta edizione, quella del 1908. Dopo Atene, che aveva visto nascere la sua intuizione nel 1896, Roma l’avrebbe definitivamente consacrata. Il Colosseo, le Terme di Caracalla, le basiliche, i resti del mondo antico sarebbero stati uno scenario incomparabile, che avrebbe attirato sull’evento l’attenzione del mondo intero. Così nel 1905 venne in Italia e trovò nell’amministrazione capitolina, allora guidata da Ernesto Nathan, una pronta adesione. Ma al barone francese premeva soprattutto l’appoggio della Santa Sede. La benedizione del Papa e, chissà, la sua presenza, avrebbero definitivamente consacrato la sua intuizione. Così ebbe vari contatti con il segretario di Stato, lo spagnolo Rafael Merry del Val, che era stato educato in Inghilterra, praticava vari sport e, come Pio X, non condivideva i pregiudizi ecclesiastici per le attività fisiche. De Coubertin trovò disponibilità e aperto incoraggiamento, anche se, come testimonia il carteggio cardinale, conservato nell’archivio segreto vaticano e qui ampiamente riportato, gli si fece notare che vigeva ancora la Questione Romana e il papa non poteva promettere nulla di concreto, tanto meno la sua presenza ai giochi. Il progetto sembrava comunque sul punto di realizzarsi quando si mise di mezzo il governo, allora presieduto da Giovanni Giolitti. E Giolitti fece come Mario Monti pochi mesi fa: disse di no. Troppe spese. L’Italia era povera, allora come oggi, e non poteva permettersi simili lussi. I soldi servivano per modernizzare il Paese, non per far sgambettare atleti. Così, «il sipario scese discretamente sullo scenario del Tevere – scrive De Coubertin nelle sue Memorie – per alzarsi subito su quello del Tamigi». Le Olimpiadi del 1908, rese celebri dal dramma del nostro maratoneta Dorando Pietri, che crollò esausto a pochi metri dal traguardo e perdette la vittoria, si svolsero, infatti, a Londra. La città dove ritornarono quarant’anni dopo, e dove si celebreranno nuovamente, per la terza volta, fra pochi giorni.