Lo scrittore. Tahar Ben Jelloun: «Oggi la speranza viene dai giovani»
Lo scrittore franco-marocchino Tahar Ben Jelloun
Tahar Ben Jelloun ne è convinto: «In giro per il mondo c’è un altro nemico, invisibile e insidioso come il coronavirus, ma che non si combatte con il gel o indossando la mascherina. Contro la barbarie del terrorismo non esiste un disinfettante efficace. Bisogna vigilare, bisogna avere il coraggio di affrontare la realtà». Sabato alle ore 17,30 lo scrittore si collegherà dalla sua casa di Parigi con gli Eventi Letterari Monte Verità, in Svizzera, per tenere un incontro che mette a tema il circolo vizioso fra razzismi e nuovi schiavismi. Nato a Fès, in Marocco, nel 1944, Ben Jelloun si è sempre misurato con la complessità e le ingiustizie del nostro tempo, sia attraverso romanzi memorabili come Creatura di sabbia o il recente Insonnia, sia con libri rivolti principalmente ai lettori più giovani, tra cui spicca il fortunatissimo Il razzismo spiegato a mia figlia. Presso La nave di Teseo, la casa editrice che sta riproponendo l’intera sua opera al pubblico italiano, è imminente La filosofia spiegata ai bambini (traduzione di Anna Maria Lorusso, pagine 208, euro 18,00, in libreria dal 5 novembre). «In Francia è stato un successo – spiega l’autore –. Durante il lockdown molti lo hanno comprato per cercare di rendersi conto di quello che stava accadendo. La filosofia parte sempre da lì: dalle domande che ci facciamo. E i bambini sono bravissimi a fare domande, oltre che molto esigenti nelle risposte».
Per questo continua a scrivere per loro?
Sì, sono persuaso che sia sempre più importante suscitare domande nei giovani. Mi pare che ci sia un gran bisogno di tornare agli interrogativi elementari: che cosa distingue il bene dal male, per esempio, oppure il giusto dall’ingiusto. Non c’è nulla di astratto, in tutto questo. Al contrario, l’idea di rivolgermi ai bambini nasce dalla mia condizione di padre di famiglia. È qualcosa di molto semplice, di molto quotidiano. Ha a che fare con le notti passate in bianco per la febbre di un figlio e con le corse per andare a prenderlo a scuola.
Ma ci sono anche altre preoccupazioni: la pandemia, il terrorismo, le tensioni internazionali…
Il problema maggiore sta nella simultaneità di queste minacce. La Covid-19 è arrivata in un momento in cui la democrazia stava già sbandando. Penso ai precedenti di Trump negli Stati Uniti e di Bolsonaro in Brasile, penso ai loro numerosi imitatori europei. L’estremismo islamico, da parte sua, si prende gioco della democrazia e cerca di trarre vantaggio dalla sua crisi. Sarebbe un grave errore non riconoscere la continuità che corre tra la decapitazione del giornalista statunitense Daniel Pearl nel 2002 e l’uccisione di Samuel Paty, il professore sgozzato due settimane fa a Conflans Saint-Honorine: in entrambi i casi, i terroristi hanno voluto mandare un segnale all’Occidente. Si tratta di una strategia globale, che fa capo all’ideologia salafita propagata da Paesi di cui è nota l’identità ed evidente l’obiettivo: instaurare in tutto il mondo que- sta visione distorta dell’islam.
Quanto pesano le diseguaglianze economiche e sociali?
Non c’è dubbio che il mondo intero stia ancora scontando le conseguenze del neoliberismo sfrenato impostosi negli anni Ottanta con le figure di Ronald Reagan negli Usa e di Margaret Thatcher in Gran Bretagna. Per comprendere quanto sta accadendo è a quello snodo che occorre tornare, e non ad avvenimenti ormai remoti come il colonialismo ottocentesco. Detto questo, non si può transigere dalla difesa dei principii fondamentali dell’Occidente, primo fra tutti il valore della libertà individuale. Con l’unica eccezione della nuova Costituzione della Tunisia, nessun Paese musulmano tollera la libertà di coscienza. L’Europa dovrebbe essere la custode di questo patrimonio, ma purtroppo non sembra più ricordarsene.
Perché?
Perché ha smarrito la sua anima. La stessa Unione Europea è insidiata dall’interno da leader antieuropei che sfruttano il malessere a proprio beneficio. Mi riferisco in particolare ai flussi incontrollati di migranti, da cui in Italia ha tratto vantaggio, e ancora potrebbe trarne, la Lega di Matteo Salvini. Ma il fenomeno è molto più esteso, interessa la Spagna, la stessa Francia.
Qual è il legame con i nuovi schiavismi?
In questa fase l’origine del problema è in Africa, in particolare in quei Paesi che, pur disponendo di risorse più che sufficienti per garantire il benessere della popolazione, continuano a essere retti da governanti privi di legittimità democratica. Nigeria, Gabon e Algeria sono casi emblematici di nazioni potenzialmente ricche, dalle quali però partono folle di migranti economici. L’Unione Europea dovrebbe svolgere un’azione che metta questi Paesi davanti alle loro responsabilità. Ma l’iniziativa tocca anzitutto ai Governi locali. Quando questo avviene, quando si adottano politiche di sviluppo, come si è fatto in Marocco, la spinta all’emigrazione si riduce drasticamente, fin quasi a scomparire.
Da dove può venire oggi la speranza?
Dai giovani. Meglio ancora:dai giovanissimi. Sono stati loro, nei mesi che hanno preceduto l’emergenza coronavirus, a lanciare l’allarme sui pericoli che corre il pianeta. Non è solamente un attivismo ecologico, ma una sensibilità che si allarga a ogni aspetto dell’essere umano. Mi ha molto colpito la capacità di coinvolgimento espressa da Greta Thunberg, così come ho trovato straordinaria la mobilitazione dei giovani di tutto il mondo in difesa delle minoranze perseguitate dopo l’uccisione di George Floyd negli Stati Uniti. Rispetto al passato, i giovani non rispondono al richiamo di un’ideologia, ma sono mossi dalla sollecitudine verso la Terra. Mi sembra un segnale di speranza. E un ottimo motivo per continuare a scrivere per loro.