Dieci attori senegalesi sul palco del Fabbricone di Prato restituiranno al pubblico la sofferenza, le tradizioni e la spiritualità del loro popolo interpretando l’
Antigone di Sofloce nella riscrittura modernista di Jean Anohuil. L’eroina della tragedia greca torna in una
Storia africana a sfidare le ingiustizie dei nuovi totalitarismi usando la pietas come unica arma per affermare i "sacri diritti" della famiglia e dare voce alle minoranze. Lo spettacolo, recitato in francese e in wolok, la lingua parlata in Senegal (ma i sopratitoli sono in italiano) è una scommessa voluta dal regista Massimo Luconi, direttore organizzativo del Metastasio-Teatro Stabile della Toscana che l’ha prodotto. Il debutto è stasera, alle ore 21; repliche fino al 4 marzo. Si tratta di una attualizzazione del capolavoro del drammaturgo francese incentrato sulla contrapposizione tra la legge del sangue e quella di una civiltà, e di un potere, che si presumono superiori. La ribelle Antigone, figlia e sorella, condannata a morte, i soprusi di Creonte, un coro che racconta il senso della tragedia. E il pubblico, la coscienza della "polis", che partecipa e interagisce. Il teatro atto morale e rito sacro, come nell’Antica Grecia. Ma anche una dimostrazione di coraggio, oggi, in epoca di discriminazioni razziali e intolleranze religiose, come nel 1942, quando l’opera di Anohuil andò in scena per la prima volta, a Parigi, sotto l’occupazione nazista. «Ho pensato di realizzare un dramma a tesi, asciutto e compatto – spiega il regista – unendo la mia esperienza europea ad alcune modalità del teatro africano, lo spazio scenico è stato concepito come la piazza di un villaggio dove la popolazione si raccoglie per ascoltare il griot, un cantastorie, nella cultura senegalese il sacerdote che conduce i riti sacri, il testimone della tradizione orale degli antenati che prega». «Antigone, Creonte e gli altri personaggi – commenta Luconi – sono come topi in trappola, obbligati dall’ineluttabilità della storia a ripetere i meccanismi drammaturgici, ma nello stesso tempo con l’urgenza di uscirne attraverso il rapporto con gli spettatori». Alla fine è l’umanità che vince e non la logica tribale o nazionalistica. «La storia di Antigone si sviluppa come una cerimonia funebre e l’elemento ritualistico sottolinea la forte spiritualità radicata nel Dna dei senegalesi, quella di un islam morbido e non integralista, di profonda intensità, intessuto di credenze, vita sociale e una musicalità dolce e ossessiva». Per selezionare 6 attori del cast (gli altri quattro appartengono alla nutrita comunità africana di Prato), Luconi ha tenuto per tre anni laboratori teatrali nel Nord del Senegal, dove ha coinvolto una quarantina di giovani emarginati in lotta per la sopravvivenza nelle bidonville. «Da questa zona del Paese ai confini con la Mauritania partono i barconi della disperazione diretti verso la Spagna e le Canarie» commenta il regista che nell’Africa francofona per oltre 20 anni ha svolto un’intensa attività di formazione realizzando anche documentari per la Rai.