Inchiesta. Odissea nelle terre del narcotraffico guidati da don Rito
«Quando penso allo sfruttamento dei bambini nella coca, mi vengono in mente le formiche. Dietro c’è un numero di persone invisibili che vivono e che muoiono e nessuno se ne rende conto». Ti guarda dritto con i suoi occhi scuri don Rito Julio Alvarez, sacerdote colombiano di 48 anni che, prima di arrivare in Italia era uno di quei ragazzini, lui settimo di undici figli, che rischiavano di diventare o schiavi nei campi di coca o guerriglieri. Se un giorno dei missionari non lo avessero portato nel nostro Paese dove don Rito è diventato sacerdote nella diocesi di Sanremo Ventimiglia. Dal 2007 ha creato nella sua regione natia, il Catatumbo, a cavallo tra Colombia e Venezuela, la Fundacion Oasis de Amor y Paz ong, sostenuta dall’Associazione Angeli di Pace presso la parrocchia di Santa Maria degli Angeli a Sanremo. Oggi nella bella casa-famiglia vivono e studiano cento bambini, accompagnati dalle loro famiglie, strappati allo spietato business della droga. E altri sessanta ragazzi dal 2013 studiano all’università a Ocana. Il frutto del lavoro di don Rito lo potremo vedere giovedì in seconda serata su Rai 3 nella seconda serie di Narcotica che riprende il viaggio sulle rotte del narcotraffico in cinque nuove puntate prodotte dal Tg3 e da Rai 3, di cui sono autori l’inviato Valerio Cataldi e Raffaella Pusceddu. Cataldi torna ad immergersi in prima persona in quelle zone proibite dove regnano corruzione e violenza, il cui controllo è conteso dai cartelli del narcotraffico, gruppi di guerriglieri, paramilitari, gruppi di polizia autocostituita. «Il focus della nuova serie – racconta il giornalista – è centrato sulle comunità indigene che in Sudamerica sono assediate dalla violenza dei cartelli di narcotrafficanti che li costringe a lavorare come schiavi nelle piantagioni di coca e di papavero da oppio, e dal disboscamento e dall’inquinamento messi in atto anche e soprattutto dagli stessi narcos».
Dal Messico alla Colombia fino alla Calabria l’inchiesta si svolge con il ritmo di un film: si alternano le immagini della natura selvaggia e le testimonianze dirette dei bambini alle indagini del procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri e dei suoi uomini della Polizia di Stato che hanno scoperto nella provincia di Cosenza gli affari della ’ndrangheta con i narcotrafficanti sudamericani. La prima puntata, lo scorso giovedì, ci ha portato in Messico, terzo produttore al mondo di oppio e uno dei Paesi più violenti del pianeta con i 34.600 omicidi commessi nel 2019 (95 al giorno). Un viaggio che proseguirà nelle puntate successive nei campi di coca e nei laboratori nascosti nella selva colombiana dove si produce il 70 per cento di tutta la coca prodotta nel mondo. «Grazie a don Rito entriamo nel Catatumbo, la regione della Colombia al confine con il Venezuela e ci addentriamo nella giungla sul Rio de Oro, dove vivono i Motilones Barì, una comunità indigena sterminata prima dai conquistadores, poi da tre compagnie petrolifere degli Stati Uniti con il sostegno del governo colombiano che li 'autorizzava a difendersi dalle proteste dei selvaggi' che si opponevano all’estrazione del petrolio » ci racconta Cataldi anticipando la seconda puntata. I Barì sopravvivono lavorando come schiavi nei campi di coca controllati dai guerriglieri dell’Esercito di Liberazione Nazionale.
«I bambini raccolgono coca fin dai cinque anni di età, sono schiavi dei narcos e di chi consuma cocaina, basti pensare che per fare una dose un bambino Barì deve lavorare per tre settimane», racconta nel documentario don Rito Alvarez che cerca di strappare quei bambini alla schiavitù del lavoro nei campi offrendogli la possibilità di studiare. Narcotica proseguirà il viaggio nei picaderos, i luoghi senza legge di Tijuana al confine tra Messico e Usa, a Medellin con un incontro ravvicinato con i ragazzini armati fino ai denti dell’oficina di Envigado, il gruppo criminale erede del cartello di Pablo Escobar, a Vera Cruz in Messico, dove seguiamo la Brigada de Busqueda, un gruppo composto da centinaia di familiari dei desaparecidos messicani che scavano in una enorme fossa comune dove il cartello dei los Zetas ha bruciato e fatto sparire centinaia di persone. «L’idea di origine di tutta la serie è di raccontare il narcotraffico non come nelle fiction, in cui si esaltano i narcotrafficanti come eroi. Siamo andati in loco a vedere chi sono le prime vittime e a raccontare una intera società che viene resa schiava di quei meccanismi», aggiunge Cataldi. «La nostra missione è nata nel 2007, mentre io ero viceparroco agli Angeli di Sanremo – racconta don Rito, che dal 29 agosto diventerà parroco San Rocco a Vallecrosia, dopo essere stato parroco della chiesa delle Gianchette a Ventimiglia accoglieva migliaia di migranti sospesi al confine tra Italia e Francia –. Purtoppo il Covid mi ha bloccato in Italia e ha bloccato la raccolta fondi, oltre a un altro viaggio in Colombia con Cataldi, ma non ci fermiamo. Nella nostra Oasi i bambini hanno la speranza di una vita normale e saranno loro a occuparsi del loro territorio. Vengono riconciliati, perché alcuni di loro sono arrabbiati, perché hanno visto uccidere i propri cari dai paramilitari o dai guerriglieri, e nel loro cuore promettono di vendicare i loro cari. Il nostro lavoro è quello di accompagnarli perché possano perdonare ed essere protagonisti di pace».