Agorà

Favole di cuoio. Novese, la meteora felice del campionato italiano

Nicola Sbetti domenica 26 luglio 2020

L’Unione Sportiva Novese campione d’Italia (Figc) nella stagione 1921–1922

Nella storia del massimo campionato italiano la Novese è stata poco più di una meteora, eppure nessun’altra squadra è riuscita nell’impresa di diventare campione d’Italia a soli tre anni dalla propria fondazione. Ciononostante sulla vittoria dei piemontesi nella stagione 1921–1922 sembra essersi abbattuta una sorta di damnatio memoriae. Certo è passato quasi un secolo e la storia di Novi Ligure, città natale di Costante Girardengo e adottiva di Fausto Coppi, è legata più al ciclismo che non al calcio. Del resto nel 1919, l’anno in cui dall’unione di diverse compagini locali nacque la Novese, la città era al centro della chiacchiera sportiva, non certo grazie al pallone quanto piuttosto per le imprese del giovane Girardengo, il quale, ripresosi dalla spagnola che lo aveva tenuto a letto per mesi, era stato capace di trionfare alla Roma–Trento– Trieste, al Giro d’Italia e a quello di Lombardia. Obiettivamente però la ragione principale di questo oblio va ricercata nelle contingenze eccezionali e fortunose di quel trionfo. La Grande Guerra aveva favorito la diffusione del pallone al di fuori della borghesia delle grandi città e, con il ritorno alla normalità, si assistette a una crescita quasi esponenziale di nuove squadre, fra cui per l’appunto la Novese.

La Figc faticò a gestire quell’entusiastica ondata di nuovi arrivi, basti pensare che furono ben 76 le società che parteciparono al primo campionato postbellico. Se da un lato le “grandi” squadre volevano formare un campionato ridotto sul modello inglese, le “piccole” non volevano rinunciare agli incassi garantiti dalle sfide con le “big”. La Novese in questo senso rappresentava un ibrido. Pur essendo espressione di una città nemmeno capoluogo di provincia con un bacino d’utenza limitato, aveva un presidente che, sulle ali dell’entusiasmo cittadino per i successi di Girardengo, non aveva timore a pensare in grande. Mario Ferretti, “il Sire di Novi”, padre dell’omonimo giornalista Rai, aveva infatti una visione moderna e ambiziosa. Lo dimostrano la pubblicazione di una rivista dedicata al club (il Bianco Celeste), ma soprattutto l’immediato acquisto del giocatore della nazionale Aristodemo Santamaria, celebre anche per una squalifica per professionismo nel 1913, dopo essere passato dall’Andrea Doria al Genoa. Anche grazie a questo attaccante di ben altra categoria, nel 1920 la Novese fece un ingresso trionfale nei campionati ufficiali. Con 16 vittorie, 55 goal fatti e solo 4 subiti dominò il girone B e quello finale della Promozione piemontese, conquistandosi così il passaggio nella massima categoria per la stagione 1921–1922.

Quanto ottenuto sul campo però rischiava di esserle portato via a tavolino. Dopo che l’anno precedente il campionato aveva visto ai nastri di partenza ben 88 squadre, le “grandi” avevano infatti promosso una riforma, il “progetto Pozzo”, che riduceva la prima divisione a sole 24 squadre e introduceva una seconda divisone da 48 e una terza a livello regionale. Esclusi dalla prima divisione, Ferretti e la Novese, che nel frattempo si erano ulteriormente rafforzati con l’acquisto di Bonato e Vercelli dall’Alessandria ma soprattutto di Asti e dei tre fratelli Cevenini dall’Inter, guidarono la fronda delle “piccole” che, in occasione dell’assemblea federale, affossarono il “progetto Pozzo”. A quel punto la scissione era inevitabile. Le “grandi” uscirono dalla Figc e fondarono la Confederazione calcistica italiana (Cci). Novi Ligure, trovandosi esattamente a metà strada fra le tre capitali del calcio Genova, Torino e Milano, divenne un centro importante per la Figc, che inizialmente fu presa alla sprovvista da questa scissione. Senza Genoa, Milan, Inter, Juventus, Torino, Pro Vercelli e Casale, solo per citare le squadre più blasonate, il campionato federale risultava irrimediabilmente impoverito. Nonostante ciò, le “piccole” tennero duro.

Peraltro nel braccio di ferro con la Cci la Figc seppe utilizzare al meglio l’unica arma che le restava, l’affiliazione alla Fifa. I club e i giocatori che avevano aderito alla Cci erano infatti diffidati dall’organizzare incontri internazionali ma speravano che le pronosticate batoste sportive di una nazionale privata dei suoi migliori elementi avrebbero ulteriormente indebolito la Figc. Invece, alla prova dei fatti, l’incontro con la Svizzera del 6 novembre 1921 a Ginevra, in cui gli azzurri “federali” riuscirono a pareggiare per 1 a 1, fu decisivo nel riequilibrare i rapporti di forza fra la Figc e la Cci. E in quella improvvisata nazionale piena di esordienti, la Novese, con quattro elementi ( Vercelli, Santamaria, Cevenini I e III), era di gran lunga la squadra più rappresentata. Poiché la scissione non favoriva nessuno, si arrivò al “compromesso Colombo” con cui lo strappo fra Figc e Cci venne ricucito, ma quella stagione anomala proseguì con due campionati paralleli che sarebbero stati riconosciuti entrambi come validi. In quello federale, trascinata dai suoi fuoriclasse, la Novese fece valere il suo superiore tasso tecnico. Vinse da imbattuta il girone piemontese, superò agilmente lo scoglio del girone di semifinale contro Petrarca e Pro Livorno e approdò in finale contro la Sampierdarenese. Un doppio zero a zero costrinse le squadre ad una “bella” in campo neutro, ma anche nello spareggio di Cremona i novanta minuti terminarono in pareggio, questa volta 1 a 1. Ai supplementari però la rete di Carletto Gambarotta si rivelò decisiva per assegnare il titolo alla Novese.

Campioni sì, ma in codominio con la Pro Vercelli a cui andò il titolo Cci. E così resterà per sempre l’interrogativo di quali risultati avrebbe potuto ottenere quella Novese in un campionato con tutte le grandi. L’anno successivo Ferretti impose un ridimensionamento. Santamaria tornò al Genoa e i Cevenini all’Inter. Potendo contare solo su giocatori locali, i biancocelesti riuscirono comunque a salvarsi per poi retrocedere la stagione successiva. In 101 anni di attività non sempre continuativa quelle prime stagioni restano senz’altro le più gloriose di una storia altrimenti segnata da fallimenti non solo sportivi e dall’ingombrante mito di Girardengo, a cui peraltro è intitolato lo stadio.