Agorà

Reportage. A 80 anni dallo sbarco, il D-Day segna ancora la Normandia

Fulvio Fulvi, inviato a Oradour-sur-Glane giovedì 6 giugno 2024

Il Cimitero americano a Colleville-sur-Mer

Sulle coste della Normandia non sono solo le taglienti raffiche del libeccio e le continue maree a forgiare con la loro irruenza falesie, rade, foreste e le campagne del bocage, segnando persino la vita e il carattere degli abitanti: una storica battaglia ha lasciato in questi paesaggi d’incanto tracce indelebili trasformandoli in templi della memoria, con reperti di guerra en plein air, sacrari, musei, monumenti a ricordare il sangue versato per la riconquista della libertà, non solo della Francia ma dell’intero Continente.

Il piano di invasione “Overlord”, la più imponente operazione militare della Seconda guerra mondiale, cominciata all’alba di martedì 6 giugno 1944 con lo sbarco delle truppe alleate nella baia della Senna – e, nei giorni seguenti, le violente battaglie ingaggiate con i tedeschi nella pianura di Caen e nelle città dell’entroterra per poter arrivare a Parigi e liberarla, il 25 agosto – provocarono quasi 500mila tra morti, feriti e dispersi in entrambi gli schieramenti mentre circa 35mila furono, in totale, le vittime tra i cittadini francesi che finirono sotto le bombe anglo-americane, uccisi negli attacchi di terra o trucidati nelle rappresaglie dei nazisti come quella di Oradour-sur-Glane, dove perirono 642 persone (il piccolo borgo, dato alle fiamme dalle Ss e volutamente mai ricostruito, è un museo all’aperto).

Oggi, dunque, si celebrano gli 80 anni del D-Day. Rimandata di 24 ore a causa delle avverse condizioni atmosferiche e dopo aver fatto credere al nemico che si sarebbe effettuata altrove, nel Passo di Calais, l’operazione venne annunciata la sera prima da Radio Londra attraverso messaggi cifrati destinati alla Resistenza francese, incaricata di preparare il terreno e di coprire l’arrivo degli alleati nei villaggi e nelle città del Nord della Normandia. Per avvisare i partigiani vennero scelti dei versi di Verlaine: «I lunghi singhiozzi dei violini dell’autunno feriscono il mio cuore con un languore monotono». Dopo la mezzanotte partirono i lanci dei paracadutisti che avevano il compito di proteggere in punti nascosti e in prossimità dei ponti, l’assalto dal mare previsto alle 6.30 del mattino. In cinque spiagge del frastagliato litorale che si estende tra l’estuario dell’Orne, nel Calvados, fino alle dune di Varreville, nel dipartimento della Manica, in un tratto lungo circa 80 chilometri, approdarono da piccole chiatte più di 150mila soldati con 20mila veicoli, che avevano attraversato il canale della Manica a bordo di 7mila navi. Durante l’assalto alle postazioni difensive tedesche o affogati nel mare agitato ne moriranno 2.500, di cui un migliaio circa, tutti appartenenti al 5° Corpo d’armata americano, solo nell’arenile denominato in codice “Omaha”, situato tra Colleville-sur-Mer e Vierville-sur-Mer, che risultò l’approdo più ostico per le forze alleate. Fu un vero massacro.

L’invasione ebbe però una resistenza più debole da parte della Wermacht negli altri siti dello sbarco: Sward Beach, tra Ouistreham e Lion-sur-Mer, di pertinenza britannica, Juno Beach, vicino Luc-sur-Mer e Graye-sur-Mer, affidata alla fanteria canadese, Gold Beach, tra Ver-sur-Mer e Asnelles, anch’essa invasa da un contingente britannico e Uta Beach, nella penisola del Contentin, di competenza dei militari Usa. La manovra mare-terra terminò a tarda sera e nelle cinque spiagge, affossati sulla sabbia rossastra, tra i cavalli di frisia, impigliati nelle barriere di filo spinato o dilaniati da mine o granate, giacevano migliaia di corpi.

Erano quasi tutti ragazzi, poco più che adolescenti. Molti di loro sono stati sepolti qui. Sono 9.387 le bianchissime pietre tombali che si ergono in file ordinate sul prato verde dell’immenso cimitero americano su una spianata di Colleville-sur-Mer: una distesa di croci e stelle di David coi nomi dei caduti, ma ce ne sono 307 non identificati e 4 di soldatesse, mentre sul muro di un giardino si ricordano, con delle targhe, i 1.557 dispersi. Dietro agli alberi che delimitano lo scenografico sacrario si intravede Omaha Beach, il luogo simbolo di quella che è stata la battaglia più importante del XX secolo. In tutta la Normandia si trovano altri 28 cimiteri con le spoglie di soldati morti nella Seconda guerra mondiale. Tra questi, il Marigny-La Chappelle-Enjuger, nascosto in mezzo a un boschetto, con 11.169 croci di pietra nera e lapidi a segnare le tombe di altrettanti soldati tedeschi. Ogni caduto, una storia.

Ma ci furono tanti soldati che, toccati dalla fortuna, riuscirono a tornare a casa. Come lo scozzese William Millin, detto Piper Bill, che, secondo la tradizione del suo Paese, per incoraggiare i compagni d’arme all’attacco mentre sbarcavano su Sword Beach, suonava la cornamusa in kilt, andando su e giù per la spiaggia esponendosi così ai colpi delle mitragliatrici tedesche. Due cecchini cercarono di farlo fuori ma dopo le prime sventagliate lasciarono perdere, poi furono catturati dai britannici: «Pensavamo che fosse un povero scemo, non potevamo sparargli», riferirono i prigionieri. Millin morì nel 2010 a 88 anni nella sua casa di Devon, in Inghilterra. La sua cornamusa è custodita nel museo di Pegasus Bridge, in Normandia.

Un’altra storia curiosa è quella di John Steele, paracadutista statunitense che durante la planata nel villaggio di Sainte-Mére Eglise, la notte del 6 giugno, rimase impigliato sul campanile della chiesa con una gamba ferita da una granata: ci rimase fin al mattino seguente, cercò di liberarsi con un coltello che però gli cadde di sotto. Nella piazza, intanto, infuriava la battaglia e lui, per non farsi uccidere, si finse morto. Due ore dopo il soldato tedesco Rudolph May salì sul tetto e lo staccò da quella scomoda posizione: John venne fatto prigioniero ma dopo due giorni riuscì a fuggire. Quell’episodio è ricordato da un manichino che ne raffigura le sembianze, appeso al campanile della parrocchiale.