L'attivista. Samirà Ardalani: «Iran, non si torna indietro: il popolo è per i diritti»
Samirà Ardalani
«Una cosa è certa: in Iran non si tornerà indietro». Se nessuno può ancora prevedere l’esito delle proteste popolari che scuotono il Paese degli ayatollah da quasi sei mesi, Samirà Ardalani è convinta che l’ondata di indignazione scatenata dalla vicenda della giovane Mahsa Amini, picchiata a morte lo scorso settembre per non avere indossato correttamente il velo, abbia già innescato un cambiamento irreversibile. E la sua determinazione a sostenere la lotta delle sue coetanee in Iran, che conta già centinaia di vittime della repressione, le è valsa una serie di insulti e persino minacce di morte via social: ulteriore dimostrazione del livello di violento nervosismo che oggi regna tra i simpatizzanti del regime di Teheran. Ma Samirà, portavoce dei Giovani iraniani residenti in Italia, non è il tipo da farsi fermare dalle intimidazioni: troppo forte è il desiderio di vedere un giorno – il prima possibile – la libertà regnare nel Paese meraviglioso e tormentato che le scorre nelle vene. « Per la prima volta il popolo iraniano si è unito, superando divisioni etniche, ideologiche, sociali, per dire basta a un governo di terrore che dura da 43 anni», sostiene la studentessa di Medicina nata 27 anni fa da genitori entrambi rifugiati politici a causa della loro opposizione al regime di Khomeini.
Quando è iniziata la sua lotta per i diritti delle donne in Iran?
Già alle medie vedevo le ragazzine obbligate a indossare il velo fin dai nove anni, mentre al liceo ricordo che in Italia facevamo le occupazioni e le manifestazioni, assolutamente vietate in Iran. Poi ho cominciato a leggere le notizie delle impiccagioni dei dissidenti, degli arresti, delle violazioni dei diritti delle minoranze e delle donne. Mi rendevo conto di quante cose per me scontate non lo fossero affatto per le iraniane: scegliere liberamente cosa indossare ma anche quali libri leggere o che facoltà frequentare, o poter viaggiare e decidere della propria vita senza il consenso di un tutore maschio. A un certo punto, ho sentito forte la responsabilità di usare gli spazi che la democrazia mi offriva per fare conoscere il volto oscuro del regime.
In che modo sostiene la rivolta in corso?
Come Giovani iraniani in Italia cerchiamo prima di tutto di diffondere al grande pubblico, attraverso i social media ma anche con segnalazioni e interviste agli organi di stampa, le notizie che ci arrivano dai protagonisti delle proteste, i nuclei affiliati alla resistenza organizzata ma anche semplici cittadini. Prendiamo parte poi a manifestazioni, sit-in, eventi per sensibilizzare la politica, italiana e non solo, sui passi necessari per isolare il regime degli ayatollah.
Quali sono le richieste che rivolgete alla comunità internazionale?
Prima di tutto vogliamo che riconoscano il fatto che quello iraniano non è un regime riformabile, e che quindi non è possibile continuare a intrattenere relazioni con questa gente che impicca i manifestanti e uccide ragazze e persino bambine. Chiediamo che i rapporti bilaterali siano condizionati al rispetto dei diritti umani, ma anche la chiusura delle ambasciate, spesso usate per tracciare le attività degli iraniani all’estero. E poi rivendichiamo l’inserimento del Corpo delle guardie della rivoluzione islamica, i famigerati pasdaran, nell’elenco delle organizzazioni terroristiche.
Negli ultimi quindici anni l’Iran ha già conosciuto rivolte popolari, anche massicce, spazzate sempre via dalla repressione violenta. Che cosa c’è di diverso oggi?
Non solo le proteste stanno continuando da mesi, ma questa volta il popolo è sceso in strada unito: nel Baluchistan, nel Kurdistan, a Teheran; nei quartieri ricchi e in quelli poveri. E se a guidare il movimento sono soprattutto giovani e donne, assistiamo a una solidarietà trasversale: per esempio, quando gli ospedali avevano ricevuto l’ordine di non accettare i manifestanti feriti, questi venivano accolti nelle case. Abbiamo filmati di cittadini di mezza età che cucinano per i ribelli. Anche tra categorie sociali c’è una nuova unità: a fianco delle rivolte studentesche ci sono stati scioperi dei commercianti e dei bazar. E non possiamo sottovalutare la radicalità del movimento, che non sostiene una certa fazione interna al regime ma chiede la fine della dittatura
Ma sarà possibile fare fronte alla reazione dei pasdaran?
Un altro elemento nuovo è proprio la strategia dei rivoltosi: oggi si vedono più raramente grandi manifestazioni dove tutti i cittadini si radunano in un’unica piazza, perché questo faciliterebbe appunto la repressione. Invece i nuclei rivoluzionari oggi protestano quartiere per quartiere, a gruppi più piccoli, in centinaia di città contemporaneamente, proprio per rendere più difficile l’intervento violento delle forze dell’ordine. Ci sono gruppi che organizzano mobilitazioni di giorno, altri di notte, per sfiancare il regime.
Che cosa vuole per il suo futuro il popolo iraniano?
Oltre allo slogan da cui è partita la protesta - “Donna, vita, libertà” – gli iraniani oggi gridano “Abbasso l’oppressore, che sia lo scià o che sia il leader supremo”. Poi, solo libere elezioni ci diranno che cosa vuole la maggioranza degli iraniani, all’interno di un sistema democratico.
E che cosa desidera lei come donna?
Naturalmente spero che siano liberati i prigionieri politici e che si fermino le esecuzioni. E poi, personalmente, sogno di poter andare presto in Iran, da libera cittadina e con la garanzia dei diritti che spettano a me e a tutte le iraniane.