Agorà

RUSH. «Non racconto la F1 ma il fascino del limite»

Luca Pellegrini lunedì 16 settembre 2013
Il rumore di quei motori fa paura. Dentro è il fuoco, che non solo brucia le piste ma qualche volta anche i corpi. È il regno appassionante della Formula 1, che sullo schermo Ron Howard dirige senza un attimo di tregua – Rush appunto il titolo, ossia "fretta", in sala da giovedì prossimo – perché senza tregua fu anche la gara psicologica e umana tra Niki Lauda e James Hunt nell’indimenticabile stagione del 1976. McLaren vs Ferrari, il nero e il rosso, l’istinto e la ragione: due stili e due modi di gareggiare si confrontarono sulle piste del mondo e nell’intimo di due diverse personalità. Finì in modo diversamente tragico per i due piloti: Niki ustionato in modo terribile il 1 agosto 1976 in un incidente, e poi risorto; James, pur vittorioso al mondiale per una sola volta, scomparso nel 1993 a 45 anni per infarto cardiaco. Li interpretano, con bravura e somiglianza, Daniel Brühl e Chris Hemsworth. «Tutta la comunità che gira intorno alla Formula 1 ha avuto commenti più che favorevoli – dice il simpatico regista americano – dicendo che questo è il primo film a essere estremamente realistico nei confronti del loro mondo. Ho fondato il mio lavoro su alcuni elementi che secondo me permeavano gli anni ’70: glamour, sensualità, libertà. Ma su tutto mi interessava il dramma interiore vissuto dai piloti in quei momenti. Riproducendo l’intensità viscerale e quasi fisica che si crea tra una macchina, il pilota, la pista».Che rapporto ha con la Formula 1?Sono stato a una gara, invitato dall’amico George Lucas, a Monaco qualche anno fa. È stata un’esperienza entusiasmante. Quando Peter Morgan mi ha fatto leggere la sceneggiatura di Rush mi è tornata in mente quella giornata. Ricordavo benissimo la tensione che invade il petto ancora prima di vedere sfrecciare i bolidi. E i due protagonisti li ho sentiti molto attraenti nella loro umanità.In effetti, è proprio l’uomo, più che la macchina, al centro del film, con la sua ansia di superare sempre il limite.Non mi interessava la tecnologia o la meccanica, quanto capire perché ci siano persone che per vivere si mettono continuamente alla prova, scegliendolo come stile di vita. Tra Lauda e Hunt si era creata una sfida epica. Entrambi di specchiata onestà, ma il primo un estremo calcolatore, il secondo un vero paradosso, adorato da tutti, eppure assediato da demoni interiori. Attraverso di loro volevo anche denunciare come tante volte nelle gare si perda di vista l’essere umano seduto dentro la macchina, dimenticandosi che questi piloti stanno cercando, a rischio della loro vita, di ottenere qualcosa di grande.Qual è stata la reazione di Lauda al film?La più personale ed emozionante che io abbia mai visto. Credo continui ad essere una persona focalizzata e concentrata sul futuro, sul successo e la competenza di qualsiasi cosa decida di fare, non penso si sia mai girato indietro per guardare alla sua vita. Io l’ho costretto a farlo. Ha apprezzato la cosa.Ancora una sfida, nel suo prossimo film.È la vera storia che ispirò Herman Melville a scrivere <+corsivo>Moby Dick<+tondo>: nel 1819 una balena fece naufragare una nave nel Pacifico e l’equipaggio navigò per tre mesi in tre piccole barche. Dopo 30 anni nacque uno dei capolavori della letteratura mondiale.