Agorà

Quaresima. Non c'è niente da fare, il silenzio è la patente di Dio. Parola di teologo

Roberto Righetto giovedì 3 aprile 2025
Anna Wangler

Anna Wangler

«C’è un tempo per tacere e un tempo per parlare», ricorda Qohèlet. E sin dall’inizio il cristianesimo si è manifestato come la religione del silenzio. Santi, monaci e mistici in particolare ce l’hanno testimoniato. Come Isacco di Ninive: « Ama il silenzio: ti reca un frutto che la lingua non è in grado di descrivere». O Gregorio di Nazanzio, che di fronte all’immensità di Dio chiede di elevare «un inno di silenzio». I Padri del deserto sono stati un modello di questa scelta a favore del silenzio: il deserto esteriore diventa la via per il deserto interiore. La solitudine, il rifiuto del mondo con le sue seduzioni è una prova di verità per l’eremita, lo mette faccia a faccia con Dio e spesso con il demonio. Ma tutto il monachesimo, anche quello cenobitico, esprime una vita fatta di silenzi, dai pasti consumati insieme senza pronunciare una parola a una disciplina complessiva che privilegia l’astensione da ogni discorso. All’elenco dei sette peccati capitali il predicatore domenicano Guillaume Peyraut ne aggiunge un ottavo: il peccato della lingua. Nell’era delle comunicazioni esasperate e delle connessioni istantanee giunge quantomai opportuna la pubblicazione di un libro postumo di Klaus Berger dal titolo emblematico Tacere. Una teologia del silenzio (Queriniana, pagine 244, euro 33,00). Conosciuto da tutti gli studiosi per il best-seller Gesù, pubblicato nel 2007 e tradotto in molte lingue – citato da Ratzinger nei suoi libri su Gesù di Nazaret -, il biblista tedesco è scomparso nel 2020 ed è singolare che le ultime due opere che ci ha lasciato siano state dedicate all’umorismo e al silenzio. Nel 2022 infatti sempre da Queriniana era uscito il volume Un cammello per la cruna di un ago?, che prendeva di petto una delle questioni che più hanno intrigato teologi ed esegeti, vale a dire se Gesù avesse mai riso. Il trasgressore di tabù, l’araldo dell’umorismo assurdo, il disturbatore esagerato: così Berger definiva Gesù. Ora si passa dall’umorismo al silenzio e anche in questo caso Cristo è protagonista, ad esempio il Venerdì e il Sabato santo. C’è poi un detto di Gesù, un agraphon extrabiblico che è stato tramandato e che recita così: «Chi ha a che fare con Dio, ha bisogno di dieci cose, una parte di solitudine e nove parti di silenzio». Commenta il teologo: « Lo sfondo è il mondo dei primi cristiani arabi, in cui soprattutto padri e madri del deserto, figure solitarie in un paesaggio arido, furono i rappresentanti del cristianesimo. Dunque, il silenzio è nove volte più importante della solitudine». Il biblista è consapevole che questa affermazione stride con l’impianto giudaico-cristiano basato sulla predicazione della Parola di Dio e che occorre semmai muoversi nel solco di una tensione fra il parlare e il tacere. La preferenza per il silenzio risulta decisiva dinanzi allo strapotere debordante e spesso inutile della parola, ad esempio nelle funzioni religiose e nelle omelie in particolare. Il discorso sul silenzio è fondamentale soprattutto all’inizio e alla fine del mondo. Con la creazione, le tenebre e il silenzio vengono sostituite dalla luce e dall’intervento di Dio anche tramite la parola, con i tempi ultimi il silenzio si trasforma in una grande festa che garantisce stabilità e libertà da minacce e paure. Spiega Berger: « Abitualmente noi, cresciuti nella sfera d’influenza di Gen 1-2 e Gv 1, nonché del Faust di Goethe, alla creazione colleghiamo “la parola” e comunque non il silenzio. Se (come il Faust) si colloca al principio “l’azione” allora il silenzio ha già perso in partenza. Già queste osservazioni molto concise contengono in sé il dramma culturale dell’estraniazione dell’Occidente dall’Oriente». È noto infatti che in ambito occidentale prevale il parlare e il discorrere su tutto, mentre in quello orientale il silenzio viene tenuto in grande considerazione. Tornando al racconto della creazione, per Berger «il silenzio articola l’attività di Dio, rende possibile separazione e differenziazione nella storia del corso del mondo. Il silenzio anticipatore è addirittura una carta d’identità della sovranità dell’agire di Dio». Il silenzio nel cielo è visto poi, ad esempio da Guglielmo di Saint-Thierry, come il valore più alto della vita eterna, nel luogo del riposo che la Bibbia greca chiama katàpausis. Il Giudizio avverrà nel silenzio e il silenzio del Sabato è il modello di ogni silenzio alla fine del tempo, come si legge in Ap 8,1. Naturalmente risalta il contrasto fra la teodicea e la teologia negativa, in un’esplorazione che va da Cusano a Merton e persino a Julien Green, secondo una tradizione teologica e mistica ove il nome di Dio è impronunciabile, anzi Dio stesso è inafferrabile, comprensibile solo come abisso di silenzio. « Dio è silenzio perché è vita. È il Vivente per antonomasia », precisa alfine Berger, e dato che è Amore totale è Qualcuno a cui dobbiamo osare di dare del Tu.