Tolentino Mendonça. «Noi siamo domanda. E anche risposta»
Per la seconda volta in questa edizione online a “Molte fedi” approda un cardinale. Si tratta di José Tolentino Mendonça, archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa, che è stato ospite della sezione “Ascolta si leva l’alba” domanica 8 e del quale proponiamo qui la riflessione. Alla sua scrittura ricca di registri variegati e alle sue parole si è affidtaa la rassegna culturale delle Acli di Bergamo, visibile sul canale YouTube e sulla pagina Facebook di “Molte fedi”, che oggi continua i suoi “Focus del lunedì”: nel penultimo appuntamento, dalle 20.45 a 21.15, sarà ospite Oliviero Bergamini, vicedirettore di RaiNews 24. A tema le elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Domani alle 18.30 Cristina Cattaneo, medico e antropologo, sarà protagonista di un incontro dal titolo “Scomparsi e naufraghi senza volto”. Il meeting verterà sull’esperienza in prima persona della relatrice in merito a persone scomparse e ai cadaveri senza identità, in particolare in quel braccio di mare che separa il Nordafrica dall’Italia. Il tentativo offerto dalla Cattaneo sarà quello di dare un nome a queste vittime dimenticate.
Se guardiamo l’etimologia della parola “responsabilità” troviamo il sostantivo “risposta”. La responsabilità sostanzialmente è la risposta che ognuno di noi è chiamato a dare, a vivere, qualificare eticamente lungo la sua esistenza. La risposta per questo sta associata a una domanda. La prima grande scoperta della nostra vita è capire quello che la scrittrice brasiliana Clarice Lispector diceva: «Io sono una domanda». La vita è una domanda piena di domande, piccole e grandi domande. Noi scopriamo che la vita è un appello, una chiamata. È interessante per esempio pensare che la parola in greco kalòs, che vuol dire bello, è una derivazione del verbo kaléo, che vuol dire chiamare. Allora la bellezza è una chiamata. Anche la verità è una chiamata, il bene è una chiamata. Noi siamo chiamati alla vita. La vita è l’ascolto profondo di questa domanda che è la natura stessa della nostra esistenza. Pensiamo alle domande fondamentali dell’antropologia: chi sono io? Da dove vengo? Dove sto andando? A chi appartengo? Da chi o perché posso essere salvato? Sono domande che stanno nell’essenza della nostra umanità. Noi siamo una domanda. Siamo abitati nel tempo, nelle diverse stagioni della nostra storia per tante domande. Il primo passo è che una persona possa ascoltare le domande fondamentali. Prima del discorso della responsabilità, c’è un discorso della maturazione della vocazione umana. Cosa significa essere uomo? Cosa significa essere persona? Quando uno capisce la sua vocazione in questo mondo alla fine sa che se da una parte è una domanda, dall’altra parte è chiamato ad essere una risposta.
Noi siamo una domanda. Per questo siamo pure una risposta. Dostoevskij diceva che noi siamo responsabili per tutto davanti a tutti. Vuol dire che la risposta che la mia esistenza è chiamata ad essere è una responsabilità attiva nei confronti del mondo, del creato e di tutte le situazioni. Da una parte siamo chiamati, ma dall’altra parte c’è un’attesa della nostra partecipazione, della nostra interconnessione con la realtà. Infatti noi siamo responsabili per tutto davanti a tutti. Siamo chiamati ad abbracciare la vita, la vita nuda che a volte ci costa abbracciare, che ci fa male accettare del tutto o capire. Questa vita al tempo stesso esaltante e fragile, luogo di vicoli ciechi e di rinascite continue. Questa vita che si concretizza nella nostra carne, ma così misteriosa da sfuggirci. Questa vita che è una domanda radicale alla quale tante volte non troviamo risposta. Questa vita così sperimentata noi scopriamo è un santuario di Dio. Per questo, come profeticamente insiste papa Francesco, nessuna vita può essere scartata, nessuna vita è un vuoto a perdere. Per questo la responsabilità totale è la risposta positiva alla chiamata della vita che ognuno di noi è chiamato a fare. Lasciare un silenzio alla vita, e alla vita come è, è veramente un incontro mancato con la nostra esistenza perché senza l’assumere il profondo della responsabilità per la vita, senza l’esercizio etico della nostra responsabilità, veramente la vita viene meno e non capiamo fino alla fine la grande chiamata che Dio fa ad ognuno di noi. Quando si parla di responsabilità, non dobbiamo illuderci. La responsabilità non è soltanto per le cose che vanno secondo il nostro interesse o che fanno la nostra comodità. La responsabilità per la vita, per la storia, è ben cosciente che l’infinito che a noi spetta vivere è sempre un infinito ferito. La responsabilità per la storia alla fine è la risposta concreta, compromessa che fa la scommessa totale con queste domande: fino a che punto sono disposto ad amare? Fino a che punto mi rendo disponibile per l’amore, per il servizio, per la costruzione etica positiva della nostra società? Abbracciare la vita nella sua vulnerabilità: questo è assumere il grande lavoro quotidiano, ripetuto della responsabilità che ognuno di noi ha davanti alla storia.
Vivere la responsabilità è tante volte assumere l’impegno di trovare un nuovo linguaggio, di trovare una nuova strada, di trovare una nuova esperienza, di inventare la realtà. Ricordo sempre l’esperienza di una delle grandi mistiche del ‘900 Etty Hillesum che in uno dei momenti più bui della storia del secolo breve, in pieno campo di concentramento, ha scritto questo: «Capisco in questa situazione che devo trovare un nuovo linguaggio, una nuova grammatica». Il suo diario e le sue lettere sono veramente l’espressione di una nuova grammatica. La responsabilità è pure questa esigenza di interpretare la realtà in una chiave che non è soltanto la solita chiave, ma di trovare nuove risposte per le nuove domande, per i nuovi bisogni che il mondo di ogni tempo ci fa. La responsabilità è una dinamica creativa, non è l’applicazione della solita ricetta per i problemi. È un ascolto profondo della realtà. Perché il grande equivoco del nostro tempo è tante volte cercare risposte sbagliate per domande che nemmeno sono fatte. Prima di tutto dobbiamo ascoltare le domande, i bisogni e dobbiamo trovare la forza, la forza spirituale, la creatività, la intensità morale per dare risposte adeguate ai bisogni che in questo momento sorgono. Dobbiamo avere fiducia perché la responsabilità è un compito veramente interminabile. Dobbiamo ricominciare ogni giorno; non posso dire ieri sono stato responsabile. Ogni giorno rinasciamo con questa missione che ci è stata affidata. Dobbiamo sapere che Dio, nel mistero del suo amore, della sua tenerezza cospira perché troviamo risposte, perché viviamo la nostra responsabilità oltre quello che in questo momento storico noi pensiamo essere le nostre competenze o la nostra realtà. La responsabilità è pure un affidarsi al futuro di Dio e lasciarsi sorprendere per il modo come Dio è capace di fare fruttificare il nostro piccolo.
Mi ricordo sempre del modo come è nato uno dei libri più famosi, più letti, più amati del ‘900: Il piccolo principe di Antoine de Saint–Exupéry. Il libro è nato in un modo molto inatteso perché Saint– Exupéry era ricoverato in ospedale a New York. Era un momento di totale incertezza nella sua esistenza, non sapeva nulla del suo futuro. Un amico gli ha regalato qualche materiale di pittura un po’ per aiutarlo a sopportare le lunghe ore, le lunghe giornate in ospedale. Lì, in un tempo senza tanti orizzonti, lui ha incominciato a lavorare su questa parabola del piccolo principe che viene al nostro incontro per ricordare quello che è essenziale. Lui non sapeva che in quel momento, di forma tutta impreparata, inconsapevole, stava scrivendo una delle risposte più belle alla sete di infinito e di speranza che sta nei nostri cuori. Per me la forma nella quale è stato generato Il piccolo principe è pure una luce per il modo in cui gestiamo la nostra responsabilità. È importante sapere le nostre competenze, aggiustarle, essere consapevoli di quello che possiamo fare, di quello che sta nelle nostre mani. La responsabilità è pure essere come un seminatore che quando semina, semina nella speranza. Lui non controlla tutto, non può sapere come sarà il frutto, ma passa per il campo, giorno dopo giorno, in quell’atto di fiducia nella creazione che è lasciare sulla terra il seme. Questa è la responsabilità che in questo tempo siamo chiamati a vivere.