Lirica. «Noi eredi di Pietro Mascagni, divo dimenticato»
Pietro Mascagni e un suo autografo
«Un nonno adorabile, molto affettuoso e premuroso verso tutti noi, un lavoratore instancabile e un amministratore preciso». Maria Teresa è figlia del primogenito di Pietro Mascagni. E, con vanto, si presenta con il cognome del «genio del pentagramma che sentiva la musica nel sangue fin da bambino», racconta. “Miti”, come la chiamano fra le mura domestiche, è la più piccola fra i nipoti del maestro toscano. E oggi, nel “clan Mascagni” composto da dodici pronipoti e quindici trisnipoti, è l’unica rimasta ad averlo conosciuto di persona. In sordina sta passando il 130° anniversario dell’opera sanguigna cui è legato il nome del compositore livornese: Cavalleria rusticana. Era, infatti, il 1890 quando la gemma della lirica debuttava al Teatro Costanzi di Roma. Complice l’emergenza coronavirus e la chiusura dei teatri, la data esatta della prima, il 17 maggio, è volata via come se una pietra miliare del verismo in musica non fosse mai stata scritta. «Avremmo voluto ricordare l’evento – spiega la pronipote Francesca Albertini Mascagni, figlia di Maria Teresa – riprendendo la prima partitura originale e facendo eseguire Cavalleria in forma di concerto al Conservatorio di Santa Cecilia di Roma. Un’iniziativa che doveva rientrare nel Mascagni New Generation Festival che abbiamo inaugurato nel dicembre 2018». A ideare la rassegna il Comitato Promotore Mascagni fondato proprio dagli eredi del compositore e presieduto da Maria Teresa. «Non appena sarà possibile vogliamo continuare la nostra battaglia – annuncia la nipote – perché è una lotta riuscire a riportare alla luce questo straordinario musicista, a lungo dimenticato nella sua complessa vicenda umana e artistica».
Pietro Mascagni (1863-1945) al pianoforte - Archivio famiglia Mascagni
Fin troppo vero. Accantonate molte delle sue 15 opere (fra cui Guglielmo Ratcliff, Iris o Parisina, scaturita dal sodalizio con D’Annunzio), le partiture sinfoniche, i lavori di musica sacra (come la Messa di Gloria), le composizioni civili, le melodie “sperimentali” per il cinema (ad esempio la colonna sonora Rapsodia satanica, di cui andava particolarmente fiero). Ingiusto ridurre Mascagni a un solo titolo, quello della novella di Verga messa in musica quando non aveva ancora trent’anni e che fa di lui uno dei venti autori più rappresentati nel mondo con oltre 1.500 repliche di Cavalleria nell’ultimo decennio. «Un capolavoro che ha segnato un nuovo modo di concepire l’opera, in termini quasi cinematografici – afferma la pronipote –. Il successo fu enorme e a 27 anni lo zio è entrato trionfalmente nella storia della musica. Ma Cavalleria è stata per lui “croce e delizia al cor”». L’origine dell’atto unico è nota: vinse il concorso che la casa editrice Sonzogno aveva indetto. «Come molti artisti, il nostro avo alternava momenti di esaltazione creativa a frangenti di sconforto e sfiducia – ammette Francesca –. Il periodo, abbastanza breve in realtà, di composizione di Cavalleria era uno di quelli bui. E la drammaticità si sente nel famoso preludio. Dopo l’espulsione dal Conservatorio per aver voluto ostinatamente pensare a creare una sua musica non tenendo conto delle regole accademiche e dopo la direzione di qualche compagnia girovaga, aveva deciso di fermarsi a Cerignola, in Puglia, per cercare di vivere con un piccolo stipendio di maestro della locale scuola di musica. Cerignola era però ben lontana dall’ambiente culturalmente vivace della Milano dell’epoca. Pietro aveva una paura sincera di non riuscire più a rientrare in quel mondo e di non trovare la strada del successo per la sua musica. Dopo aver composto Cavalleria in pochi mesi, era terrorizzato che Sonzogno non prendesse neanche in considerazione l’opera di un giovane senza né arte né parte. Superata una crisi di ansia, fu la moglie a prendere il manoscritto e a spedirlo a Roma per il concorso. Orgogliosamente diciamo che sono state le donne ad aiutare e incoraggiare Mascagni nelle situazioni di maggiore ansia». E Maria Teresa aggiunge: «Aveva un’elevata considerazione per le donne della famiglia cui dava ascolto negli aspetti pratici. Certo, è stato anche un grande seduttore. Ma è rimasto sempre con la famiglia, che adorava». Una pausa. «Conserviamo molte sue bellissime foto. In effetti con il fisico prestante, la chioma fluente, il grande ciuffo, la parlata aperta, gli occhi azzurri, lo sguardo penetrante, Mascagni ha fatto stragi di cuori femminili per tutta la vita».
Il primo libretto di “Cavalleria rusticana” che ha debuttato nel 1890 - Archivio Ansa
Era un divo dell’epoca. Un influencer anche estetico, si direbbe adesso. «Per 35 anni, dal 1890 al 1925, Pietro non è stato solo un musicista, ma una moda travolgente – spiega Francesca –. Gli eleganti si vestivano come lui, le donne correvano a vederlo, le ragazze ritagliavano le sue foto dalle riviste. Venivano imitati nel mondo i suoi abiti, i suoi capelli, anche il suo vezzo di non farsi crescere barba e baffi perché in realtà non ne aveva in quantità adeguata. Lo volevano nelle corti reali e nei salotti. Era l’uomo del giorno, il fenomeno, ma era un inquieto». E la madre rivela: «Il suo carattere passionale, aperto alle novità, ironico è forse figlio della sua terra natale, Livorno: città di porto, solare, contraddittoria, vitale». Qui affondano anche le sue radici religiose. «Da bambino aveva imparato i rudimenti della musica nella chiesa di San Benedetto – ripercorre Francesca –. Già i primi lavori come Duolo eterno, scritto a 15 anni e dedicato al padre in memoria della madre scomparsa prematuramente, hanno un’impronta religiosa. Uno dei momenti più mistici fu la Messa di Gloria seguita da Guardando la santa Teresa del Bernini. Ma l’intera produzione è pervasa da un afflato sacro, dalla ricerca del divino. Ritroviamo già nella stessa Cavalleria l’Inno al Signore Risorto o nell’Amico Fritz un brano biblico. E questa vena spirituale si rinnova in Parisina, in Lodoletta, nel Piccolo Marat e nell’ultima opera Nerone. Poi come non ricordare O Roma felix, omaggio a Pio XII in occasione dell’udienza del 1943».
Pietro Mascagni (1863-1945), autore di “Cavalleria rusticana” - Archivio famiglia Mascagni
Già, perché Mascagni ha potuto contare sull’amicizia personale di papa Pacelli. «Negli ultimi anni della sua vita, preoccupato per le sorti familiari e del Paese in piena seconda guerra mondiale, il legame con il Papa fu per lui dirimente – confida la pronipote –. Si sentiva in colpa nei riguardi di ambedue le donne, la moglie e l’amante, aveva figli e nipoti al fronte. Dopo la morte del figlio Edoardo in Etiopia e con una nipotina gravemente malata di tubercolosi, ormai solitario e tormentato, aveva trovato conforto nella confidenza del Papa. In una lettera all’amico Umberto Giordano svelava: “Pensa, il Papa volle offrirmi un dono per la mia piccola nipotina e mi diede una corona del Rosario. Dal giorno in cui ebbe il dono dal Papa e la sua benedizione la bimba si sentì meglio”. Le sue speranze durarono purtroppo poco. In seguito, sempre più avvilito, si consolava scrivendo: “La gioia divina me l’ha concessa il Papa il quale mi offre sempre il modo di farmi sapere quanto bene mi vuole, pensa che mi ha mandato un monsignore di sua fiducia, io mi sono sentito preso da un grande entusiasmo religioso, mi sono confessato ed ho ricevuto la Santa Ostia consacrata. Ho provato una commozione indicibile, ho pianto molto e mi è sembrato di vivere di nuovo, ho ricevuto il perdono dal buon Dio”». L’orrore per la guerra lo angosciava. «Il 7 dicembre 1943, invitato alla radio in occasione del suo ottantesimo compleanno, aveva esaltato la figura del Pontefice che per lui rappresentava l’incarnazione della pace e della giustizia».
Pietro Mascagni (1863-1945) - Archivio famiglia Mascagni
Su Mascagni grava ancora lo stigma di “musicista nero”, organico al fascimo, che per certi versi ha offuscato la sua memoria. Gli eredi però ribattono: «È un errore giudicare un artista per le sue idee politiche, anche se sbagliate. A Mussolini occorreva avere nomi illustri da spendere non solo in patria, ma soprattutto all’estero per rafforzare l’immagine di un popolo ingegnoso. Così Pietro si sentì onorato di rappresentare la grandezza artistica dell’Italia. Puccini, ammiratore di Mussolini, fu nominato subito senatore del Regno: poi nel 1924 la prematura scomparsa lo salvò dalla condanna ideologica che invece si è abbattuta sul nostro parente». E si torna all’arte. «Nel Ventennio Mascagni ha composto una sola nuova opera, Nerone: era il 1935 e non piacque al regime per la scelta di un tiranno e la sua fine ingloriosa, quasi premonitrice. Va ricordato che il maestro era profondamente ostile a ogni conflitto. “La guerra ci porta indietro di secoli”, aveva dichiarato. Da sempre pacifista e con molti amici ebrei, si sentì tradito. Nel luglio 1943, dopo l’arresto del Duce, annotava: “Torna su di noi il sole della libertà”. E nel 1944, quando gli alleati requisirono il Grand Hotel Plaza a Roma dove Mascagni ormai viveva, i militari considerarono un onore ospitare il grande musicista. Poi, il 2 agosto 1945, giorno della morte, il comando francese ordinò la bandiera a mezz’asta nel Plaza, il Governo inglese trasmise un messaggio di condoglianze all’Italia e a Mosca la radio mandò in onda brani tratti dalle sue opere. Come a dire: la sua gloria va al di là di certe discriminazioni politiche. E tutto ciò deve valere ancora di più oggi».
Pietro Mascagni (1863-1945), autore di “Cavalleria rusticana” - Archivio famiglia Mascagni