Agorà

IDEE. Il Nobel e il monaco, dialogo sui miracoli

Lorenzo Fazzini sabato 20 novembre 2010
Un premio Nobel, celebre per aver scoperto il virus dell’Hiv, responsabile dell’Aids, e un monaco "in prigione", cappellano per lunghi anni a fianco di reclusi di Francia. Due uomini distanti per mestiere ed interessi, uniti da una comune vocazione: la ricerca, l’uno della salute terrena, l’altro della salvezza eterna. Preoccupati - pur con differenti vedute - per la dignità dell’uomo, uniti dall’auspicio di un’alleanza positiva tra uomini di scienza e di fede.Luc Montagnier, già direttore dell’Istituto Pasteur e Nobel per la medicina nel 2008, e padre Michel Niaussat, monaco cistercense, si sono presi del tempo per alcuni "dialoghi dei nostri tempi", come da sottotitolo di un testo appena uscito Oltralpe, Le Nobel et le Moine (Editions Libra Diffusio, pagine 232, euro 21). Dove, sollecitati dalle domande del giornalista Philippe Harrouard, hanno messo a confronto - e anche scontro - le loro posizioni su fede, scienza, etica e ricerca. Non mancano le sorprese.È l’ex "rosso" Montagnier ("all’inizio ho creduto al marxismo, come molti giovani della mia epoca" ammette lo scienziato, spiegando che fu l’invasione sovietica in Ungheria nel ’56 a disilluderlo sul socialismo reale) a sollevare alcune affermazioni interessanti. Come quando ammette la natura misteriosa dei miracoli che avvengono a Lourdes: «Quando un fenomeno è inspiegabile, se esso esiste veramente, non serve nulla negarlo. Molti scienziati fanno l’errore di rifiutare ciò che non comprendono. Non mi piace questo atteggiamento. Cito spesso questa frase dell’astrofisico Carl Sagan: "L’assenza di evidenza non è l’evidenza dell’assenza". Riguardo ai miracoli di Lourdes che ho studiato, credo effettivamente che si tratti di qualcosa non spiegabile. […]  Io non mi spiego questi miracoli, ma riconosco che vi sono guarigioni non comprese allo stato attuale della scienza». Ancora: nel dibattito serrato con padre Niaussat - avvenuto nell’abbazia trappista di Soligny dans l’Orne, luogo di silenzio amato dallo scrittore Bousset -, lo scienziato e il cistercense si trovano d’accordo sul grande ruolo che il mondo cattolico svolge verso i sofferenti: «Con il mio collega americano Robert Gallo - afferma Montagnier - avevamo ottenuto un’udienza con il Papa (Giovanni Paolo II, ndr) per parlargli del modo in cui potremmo accrescere la nostra collaborazione con il personale delle missioni cattoliche che lavorano nell’ombra in Africa. Essi curano i malati di Aids e fanno prevenzione contro la diffusione del virus». Al che il monaco ribadisce: «Molti preti, religiose e religiosi sono all’opera. Troppo spesso ci si dimentica di parlarne». Gli fa eco il medico: «Gli ordini religiosi cristiani hanno svolto un ruolo molto positivo nella presa in carico dei malati. […] Riconosco che, nel campo delle cure ospedaliere, la Chiesa è stata pionieristica». È sulla visione più teologica che i due interlocutori manifestano una qual distanza. Niaussat racconta con accenti vividi la sua vocazione monastica: «All’età di 17 anni ho vissuto un evento bizzarro. Riguarda Salvador Dalì. Ero a Bordeaux e ho visto in vetrina un’immensa riproduzione del Cristo di San Giovanni della Croce dipinto da Dalì. Fu uno choc. Svegliandomi l’indomani mi sono detto che volevo essere monaco. Volevo andare alla ricerca della povertà, cercare Dio […]. La mia ricerca profonda è costruire la mia unità personale attorno all’idea di Dio. Non è sempre facile avere la fede. Per me vi è la scoperta assoluta del Vangelo che è uno specchio della vita. Cerco di fare in modo che il mio pensare e il mio vivere non siano in contraddizione con questo Vangelo». Montagnier manifesta più una visione "fissista" della religione, da lui interpretata come un insieme di dogmi e di credenze, e non come esperienza spirituale interiore e personale. Sentiamolo: «Le religioni sono fondate su testi sacri: Bibbia, Corano, Torah. Anzitutto si dice che questi testi vengono da Dio, ovvero sono la Rivelazione, e che bisogna seguirli alla lettera. Questi sono dogmi fondatori e comprendo che si esita a modificarli. Ma si potrebbe anche adattare le religioni alle conoscenze di base della scienza, conservando la credenza in Dio». Il Nobel francese però riconosce implicitamente che, se nel mondo prevalesse l’opzione religiosa, in primis quella cristiana, il nostro pianeta ne avrebbe solo da guadagnare: «Vi sono 2 miliardi di cristiani, di cui 1 miliardo e 100 milioni di cattolici. I loro buoni sentimenti sono presenti ma sfortunatamente i rapporti di forza continuano a governare il mondo. Nel nostro secolo la compassione e l’amore del prossimo guideranno il mondo? Ne dubito». Un dubbio che fa trasparire un’insopprimibile nostalgia d’Assoluto.