Nella Francia che l’ha accolta – era il luglio 1919 – e poi la rigetterà spingendola nelle fauci della morte – a Auschwitz, deportata a 39 anni nel luglio del 1942 –, Irène Némirovsky, nata a Kiev, sferza il mondo in sfacelo che le si sgretola dinanzi. Quello è il Paese teatro di tutte le sue opere, colto «mentre perde l’onore e la vita», come scrive nel suo diario, un simulacro di civiltà al quale il nazismo inferisce il colpo di grazia. Entrambi, la scrittrice e gli occupanti, non fanno superstiti: classi sociali, autorità politiche, appartenenze religiose, vincoli familiari, discendenze, vittime e carnefici, uomini e donne. Ovunque, la realtà offre «a ciascuno la sua preda: secondo la sua astuzia e la sua forza», scrive gelida nel
Signore delle anime. Prede sono anche i personaggi che immagina sulla scena di una grande opera, interrotta quando i suoi aguzzini bussano alla porta: le cinque parti della
Suite francese di cui soltanto le prime due emergeranno da quel flusso ininterrotto di idee. E solo negli anni 90 i manoscritti, depositati in una valigia, vengono presi in mano dalla figlia Denise Epstein e curati con sommo rispetto fino alla loro pubblicazione, avvenuta nel 2004, per dimostrare «che i nazisti non sono veramente riusciti ad ucciderla». Con questo spirito di vittoria su una storia fatta di lacerazioni, scomparse e negazioni, fisiche e morali, giunge in sala il 12 marzo il film che Saul Dibb ha tratto da quelle pagine potenti. Tutti i libri della scrittrice «nascono a ridosso di una voragine, in cui storia familiare, vicenda storica e invenzione letteraria si intersecano fino a confondersi», annota la saggista Maria Nadotti nell’introduzione all’edizione di
Suite francese pubblicata da Newton Compton, offerta in omaggio a tutte le donne che parteciperanno alle proiezioni in anteprima il prossimo 8 marzo in alcune città. Ambientato a ridosso dell’invasione nazista della Francia, nel giugno 1940,
Suite francese fa riferimento a quello spartito sul quale l’ufficiale tedesco Bruno (Matthias Schoenaerts) traccia le note – scritte per il film dal recente premio Oscar Alexandre Desplat – mentre nel più vasto spazio del borgo di Bussy, dove si accalcano i rifugiati in fuga da Parigi, i personaggi le trasformano in danze di vita e di morte. L’ufficiale occupa le stanze ove la bellissima Lucile (Michelle Williams) – il marito sperduto in qualche fronte – gli offre un pianoforte e l’involucro di una forte, devastante passione, mentre la suocera Madame Angellier sottrae ogni senso di compassione a quelle giornate tragiche, riempiendole di silenzi, lacrime, odio. «Una proprietaria terriera – la descrive Kristin Scott Thomas, magnifica interprete – che vive in piccolo paese, ha una concezione di sé piuttosto alta, è molto dura». Tra la giovane, fragile francese e l’affascinante, sensibile tedesco s’innesca un rapporto non ancora fatale, ma prematuramente impossibile. «Bruno è cresciuto in una famiglia militare – spiega l’attore belga –, i suoi fratelli sono soldati. Ma nel profondo è un artista, un compositore. A quello si dedica anima e corpo. Però c’è la guerra e deve fare il proprio dovere».Tutti fanno il loro dovere: amare, salvare, violare, tradire, uccidere, sacrificarsi. La gamma dei sentimenti e delle debolezze sono descritti con brillante, empatica misura da Dibb, riservandosi di dare al film una conclusione necessaria, che il romanzo non ha. Senza cedere alle secche del romanticismo. «Perché quello della Némirovsky – precisa il regista – non è il passato visto attraverso lenti rosa. Non è una visione romantica della guerra. È una storia d’amore impossibile che cresce dentro Lucile, all’inizio un topolino che finisce ruggendo. Lei è molto tranquilla, repressa, una brava moglie e vive con una suocera dalla personalità dominante. Nel romanzo e nel film diviene adulta innamorandosi di un ufficiale tedesco, costretta infine a decidere se stare con lui o con il suo Paese». Bussy si trasforma in un palcoscenico di violenze e prevaricazioni cui nessuno è indenne. «Un tema molto forte del romanzo, che ho voluto mantenere nel film, è l’effetto scatenato dall’occupazione nazista, ossia una guerra tra classi sociali che mette le persone le une contro le altre, in una società rigidamente divisa». Dibb ci tiene a precisare quanto le pagine della scrittrice ci siano vicine. «L’immediatezza del romanzo, la sua tessitura cinematografica, mi hanno permesso di tradurlo più facilmente per un pubblico moderno. Ovviamente, dopo quelle naziste, ci sono state e ci sono molte forme di occupazioni straniere in tutto il mondo. La Némirovsky ci avverte che possiamo esserne responsabili o farne parte».