Agorà

Intervista a Vaccaro. Nella fabbrica dell’immortalità

Roberto Righetto mercoledì 20 maggio 2009
In un famoso racconto di Arthur Clarke, I nove miliardi di nomi di Dio, due tecnici dell’Ibm so­no chiamati in Tibet per compiere per conto dei monaci buddhisti l’impresa di combinare le lettere dell’alfabeto per invocare Dio con tutti i suoi nomi. Impresa che se realizzata avrebbe innescato la fine del mondo. I due esperti di compu­ter svolgono il loro compito svo­gliatamente ma, proprio mentre se ne vanno, l’universo perde a poco a poco la sua vita... L’intreccio possi­bile fra spiritualità e tecnologia, da Teilhard de Chardin a Philip Dick, ha affascinato teologi e scrittori e in tempi recenti anche gli scienzia­ti. Fra cui i cosiddetti teorici delle «filosofie dell’immortalità», una corrente di pensiero incentrata sul­le grandi scoperte della GNR Revo­lution, la combinazione di Geneti­ca, Nanotecnologia e Robotica che promette risultati fino a pochi anni fa impensabili, ma che rischia di invadere la sfera fisica e spirituale dell’uomo. Andrea Vaccaro, giova­ne studioso che qualche anno fa fece discutere per aver scritto il pamphlet Perché rinunziare all’a­nima?, con chiaro riferimento alle neuroscienze, ora fa un passo a­vanti nella sua ricerca e manda in libreria sempre per i tipi delle Edi­zioni Dehoniane di Bologna il volu­me L’ultimo esorcismo. Filosofie dell’immortalità terrena (pagine 158, euro 14,60), in cui disegna un futuro un po’ inquietante ma su cui cerca di compiere un’analisi serena e non demonizzante. Una vera sfi­da per la teologia di oggi dinanzi a una possibilità di cui viene addirit­tura fissata una data, il 2029. Che cosa si intende per filosofie dell’immortalità terrena? «È inutile tergiversare: la filosofia dell’immortalità terrena è lo stile di pensiero e di vita di coloro che cre­dono che, nell’arco di venti anni, il progresso scientifico e tecnologico condurrà a vincere le cause di ogni malattia e dell’invecchiamento, in modo tale da permettere all’uomo di restare in vita a oltranza, peraltro in uno stato di salute e giovinezza. Ho sperimentato, per primo su me stesso, che in prima audizione un tale messaggio è quasi repellente e il mittente è liquidato come uno squilibrato o uno a cui piace scher­zare. A guardare, però, le menti ec­cellenti che ci sono dietro, il movi­mento mondiale di ricerca, il tasso quotidiano delle scoperte rilevanti, la prospettiva comincia lievemente a mutare. Senza considerare gli e­normi finanziamenti che vi sono convogliati, perché la vita, oltre a essere un valore sacro, è anche un 'prodotto' che si vende bene. Su queste basi, i filosofi dell’immorta­lità terrena credono che saremo noi la prossima generazione. Che questo diventi davvero realtà, poi, paradossalmente è irrilevante dal punto di vista filosofico, perché ciò che conta è che l’idea sia già qui tra noi. Dio non era morto realmente quando lo Zarathustra di Nietzsche ne proclamava l’epitaffio, eppure il nichilismo ha permeato di sé un intero secolo». Quali sono i principali esponenti di questa corrente di idee? «Negli anni Novanta, John Brockham introduceva la categoria di 'terza cultura', riferendosi a quegli uomini di scienza che usci­vano dal loro specifico settore e of­frivano al grande pubblico, in mo­do comprensibile, sia le più recenti acquisizioni del sapere, sia le loro sintesi culturali. Figure a metà tra scienza e filosofia. I maggiori espo­nenti della filosofia dell’immorta­lità terrena appartengono a tale ca­tegoria. L’autore principale è senza dubbio Ray Kurzweil con il suo illi­mitato tecno-ottimismo e con il suo libro Fantastic Voyage: Living long enough to live forever (Viaggio fantastico: vivere abbastanza a lun­go per vivere per sempre, ndr). Con i suoi ripetuti titoli di inventore dell’anno, le onorificenze conferi­tegli dagli ultimi presidenti Usa, primati tecnologici a ripetizione, Kurzweil è un po’ un Leonardo da Vinci tra i computer. La sua rete è anche un terminale di tutte le sco­perte che provengono dai labora­tori di massimo livello ed è proprio da questa pioggia di progressi quo­tidiani che deriva, molto probabil­mente, la sua previsione estrema. Quella che ripete in più occasioni: 'Io non credo che morirò'». Kurzweil sembra essere il capofila di questa linea di pensiero: quali sono gli altri protagonisti? «Penso a Eric Drexler, l’uomo-sim­bolo della nanotecnologia, che ci solletica con il parallelismo tra lo spazio e il tempo, osservando che abbattere le barriere del tempo og­gi appare impossibile come appari­va impossibile, negli anni Trenta, che l’uomo potesse andare sulla Luna. Dal versante della robotica, invece, fa sentire la sua voce lo sto­rico co-fondatore del Mit Marvin Minsky, che insegna come sia or­mai giunto il tempo che l’umanità si stacchi dalla mano di Ma­dre Natura e prenda, con coraggio e responsabi-­lità, a dirigere il cor­so degli eventi, tramite il passaggio da un’evoluzio­ne darwinianamente casuale ad u­na 'selezione innaturale' determi­nata dalla volontà dell’uomo. Im­possibile poi non citare il bioge­rontologo Aubrey de Grey con la sua fondazione intitolata bizzarra­mente Methuselah Foundation, che ha sfidato e sconfitto pubblica­mente l’intero mondo accademico nel 2005 con la SENS Challenge su Technology Review, ponendo inu­tilmente sul piatto diecimila dollari a chi avesse dimostrato erronea o infondata, in termini ingegneristi­ci, il suo programma di War on a­ging, con le strategie per eliminare l’invecchiamento. Dà per scontata l’idea anche Jaron Lanier, il precur­sore della 'realtà virtuale'. Perso­nalità variegate, dunque, nel cui curriculum, però, brilla una carat­teristica comune: quella di aver previsto, ciascuno nel suo rispetti­vo campo di competenza, il futuro prima degli altri».E in Italia, quali sono gli epigoni di quello che pare essere un vero in­cubo, più che una possibilità? «In Italia l’argomento non è ancora molto pervenuto. Del 2005 è il testo di Boncinelli e Sciarretta Verso l’im­mortalità? e, più recentemente, Al­do Schiavone lo ha profilato nel suo Storia e destino. Abbiamo poi alcuni siti ben sviluppati, quali E­stropico e Beyond human, che of­frono generosamente materiali di tale letteratura tradotti in italiano. Ancora, ci sono le reti nazionali as­sociate ad organizzazioni come l’Immortality Institute Humanity Plus, con profilo però più socio-po­litico che filosofico. Niente di più organico, tuttavia». Quale intreccio con quello che lei definisce la «GNR»? «La sigla GNR indica il sodalizio che è venuto a formarsi, nell’ulti­mo decennio, tra le discipline del­la Genetica, della Nanotecnologia e della Robotica o Intelligenza ar­tificiale forte. Il motore della GNR revolution è l’applicazione della cosiddetta Legge di Moore all’in­tero mondo della tecnologia. È come se il tempo accelerasse e­sponenzialmente. Il Progetto Ge­noma impiegò tredici anni a se­quenziare un intero Dna e fu con­siderato, appropriatamente, un’impresa enorme, non solo per i quasi cinquecento milioni di dolla­ri profusi; l’anno scorso, la stessa o­perazione sul genoma di James Watson, il Nobel della doppia elica, ha richiesto solo quattro mesi e cir­ca un milione di dollari. Il Personal Genome Project prevede che, nel 2012, ogni nascituro, nella culla, a­vrà, accanto al braccialetto con il nome, anche il suo codice geneti­co, per una spesa modica. A fine 2008, l’Ibm e la National Nuclear Security americana hanno presen­tato il supercomputer Roadrunner, capace di un milione di miliardi di operazioni al secondo: un numero che la mente umana non può nemmeno raffigurare. Con i micro­scopi e le apparecchiature varie della nanotecnologia si è ormai ca­paci di muovere un atomo alla vol­ta e la nanomedicina sperimenta dispositivi che navigano nella cir­colazione sanguigna con funzione di monitoraggio e rilascio farmaci. Tutto questo legittima la convin­zione in forma di slogan secondo cui, in virtù della GNR, 'il futuro non è più quello di una volta'». Lei accenna a un saccheggio più o meno evidente della visione cri­stiana del paradiso o comunque delle metafore religiose: in che senso? «Quello che promettono i filosofi dell’immortalità terrena ricalca in maniera sorprendente ciò che i Pa­dri della Chiesa descrivevano come lo stato dei beati in paradiso: bel­lezza senza difetto, forza senza in­fermità, salute senza malattia, gio­vinezza senza vecchiaia e, soprat­tutto, vita senza morte. Quello che rende interessante e distingue que­sta filosofia rispetto agli approcci illuministi e positivisti è però, nella maggioranza dei casi, un atteggia­mento di non contrapposizione verso la religione. Essi usano spes­sissimo i termini 'trascendenza' e 'spiritualità' e, i più accorti, leggo­no questo percorso dell’umanità verso l’infinito come un processo di conoscenza e trasformazione in cui sono immersi, piuttosto che co­me un’autonoma e presuntuosa deliberazione dell’essere umano». Tecnognosi e tecnopaganesimo, tendenze cui lei accenna, possono essere considerati alternativi a u­na concezione cristiana dell’esi­stemza? «Ecco, credo che sia centrale per il nostro discorso il ruolo della spiri­tualità in questa filosofia. Come detto, i filosofi dell’immortalità ter­rena affrontano ripetutamente la questione della spiritualità, e non potrebbe essere altrimenti dato che essi vedono bit o pattern infor­mazionali laddove i materialisti ve­devano solo atomi. Certo, le diver­se correnti danno alla spiritualità peso e significati differenti. I più in­vasati patiti di cyber-cultura parla­no di una sostituzione della religio­ne con una fede nella tecnologia, ma vanno poco oltre l’aggiungere il suffisso "tecno-"' a espressioni di vago sapore spiritualista. I loro ar­gomenti sono piuttosto effimeri. Altri, invece, ritengono che lo svi­luppo tecnologico potrà ottenere riflessi positivi anche sulla religio­ne, assicurando di poter diffonde­re, con adeguate sollecitazioni ce­rebrali ('neuroteologiche'), espe­rienze di misticismo che, seppur e­tero- prodotte, faranno provare al soggetto percorsi estatici che non lo potranno lasciare indifferente. Ci sono molte altre posizioni, da quel­la che è detta 'spiritualità impove­rita' alla 'spiritualità desacralizza­ta' alla 'spiritualità ingegnerizza­ta'. I più ragionevoli, infine, mi sembrano quelli che avanzano con lo slogan 'Dio non ha un sito web' ed ammettono che - a fronte di tut­te le fantasmagorie che invente­ranno - per esperienze di vera spi­ritualità occorrerà sempre rivolger­si altrove».