Musica. Nek gioca alla vita ma con metà disco
Nek (Ansa / Parole & Dintorni)
Come le collezioni, primavera e autunno. E quello che Nek ha diviso in parti uguali, eppur diverse, non è infatti un disco buono per tutte le stagioni. Bisogna essere assai maturi e aver capito molto dell’essenza del vivere per saper scrivere «che il giorno in cui non ho amato è stato un giorno perso».
Il 47enne Filippo Neviani da Sassuolo, in arte Nek, lo canta ne Il mio gioco preferito, la title track della prima parte del nuovo album, che esce oggi (distribuito da Warner Music Italy, euro 12,90) per completarsi con altri sette brani (o più) a chiudere il cerchio del cd, forse in ottobre. Comunque dopo il concerto all’Arena del 22 settembre e prima del tour europeo (dal 18 novembre al 2 dicembre a Monaco, Bruxelles, Parigi al Bataclan, Lussemburgo, Londra e Madrid) e poi italiano.
«È la prima volta che sperimento un’uscita in questo modo – spiega Nek, che in questa prima metà del progetto ha inserito l’incompresa sanremese (solo 19° posto) Mi farò trovare pronto anche in una nuova stesura e arrangiamento, in duetto con Neri Marcorè –. Serve a prolungare il discorso e avere più tempo a disposizione. Più longevità all’album è un vantaggio, no? L’uscita autunnale avrà però un’atmosfera diversa, più da caminetto acceso».
Nel brano di apertura La storia del mondo si parla dell’importanza di ciascun atto nel comporre il grande puzzle comune in cui viviamo, tra «pacifisti e impostori» e «bravi figli di pessimi padri»...
Oggi il grande problema è la crisi della famiglia. E dei padri in particolare. Per me mio padre è sempre stato il punto di riferimento. Parlava poco, ma bastava un suo sguardo e io avevo già capito tutto. Con questa frase così forte penso anche a quei figli di mafiosi che vorrebbero farsi la loro vita, ma sono spesso condannati a un destino già segnato. Tranne quelli eroici che si ribellano, come abbiamo visto pochi giorni fa a Napoli. Il brano La storia del mondo racconta appunto dei piccoli e grandi gesti quotidiani di ognuno di noi, che hanno sempre e comunque un peso e un valore. Ancor più in una società che ruota più che mai attorno all’egocentrismo e all’apparenza mentre viene usata in ogni contesto a sproposito la parola “amore”.
Il problema, come ha cantato anche al Festival, sarebbe dunque esserne all’altezza?
Questo è il punto. La parola “amore” è la più usata e abusata, ma la meno praticata. Non si può dire “ti amo” soltanto per intendere “mi piaci”. Nell’amore c’è invece un universo che significa quantomeno pensare all’altro come a se stesso, se non addirittura di più. C’è stato chi ha dimostrato questo più di duemila anni fa, ma la sua rivoluzione non è stata compresa per davvero. Ci limitiamo a osservare gli altri, possibilmente quelli che soffrono, e dietro a una presunta comprensione di facciata alla fine ci rallegriamo di non essere noi a vivere quel disagio. Il nostro è più che altro un egoistico e distratto sguardo al prossimo. Ma per fortuna ci sono eroi quotidiani che vanno oltre. Io ne conosco e un po’ provo ad aiutarli.
Da anni collabora con Nuovi Orizzonti... L’estate scorsa sono anche stato in una favela in Brasile con quest’associazione che supporto da anni. Beh, ho toccato con mano che l’amore può trasformare le vite, non certo l’indifferenza che sta prendendo piede in questi tempi. Ho visto la vicinanza di volontari, sacerdoti e di chi dedica il proprio tempo lì, nel Nordest del Brasile dove la violenza è una costante e le case sono fatte di fango. Ho visto gente rinascere grazie all’amore e all’impegno di altre persone per loro. Invece chi nega questo prodigio quotidiano vuol far passare il concetto che l’amore sia soltanto un’utopia, anziché una forza concreta. Il fatto è che per stare tranquilli rifiutiamo ed evitiamo di essere messi alla prova. L’indifferenza è peggio di ogni altro comportamento. Persino dell’odio che striscia nei social e avvelena gli animi. Ne sono stato colpito anch’io. Ma ho reagito a modo mio.
Cos’era successo?
Un odiatore di turno mi aveva scritto sui social: “Nek, ma non ti sei ancora estinto?”. E io gli ho risposto: “Ti voglio bene anch’io”. Beh, l’ho completamente spiazzato ed è diventato un mio fan. Spesso sono stato messo alla prova, indotto a non amare se non addirittura a odiare. Ma non posso permettermi di farlo, sporcherei la mia giornata e la mia vita.
Allora cosa bisogna fare?
Dobbiamo spaccare questa catena di odio. A una mano che impugna qualcosa o si chiude per diventare un pugno bisogna rispondere con una mano tesa. Solo così vinci e rompi la catena. Ma questo non solo sui social, s’intende.
In Musica sotto le bombe odio e violenza sono a ben altri livelli di potenza distruttiva... Esprimo tutto il mio il malessere davanti a quello che ogni giorno vediamo al telegiornale, ma canto la speranza per qualcosa che non smette di muoversi sotto al fumo e alle macerie. È un pezzo che esalta la forza e la voglia di ripartire, senza piangere. Il vero eroe è sempre quello che si rialza.
Dove canta «e ci sei tu che mi fai una gran voglia di vivere»...
Sì, mi rivolgo a mia figlia Beatrice che è ancora piccola, è alle elementari. Avrei forse più correttamente dovuto dire “che mi dai” anziché “fai” ma mi è sgorgata così, di getto. Perché l’entusiasmo innato di mia figlia mi “fa” vivere. All’interno di una società ormai satura, grazie agli occhi di mia figlia io non perdo la speranza, vedo il cielo del futuro. Sento quella purezza che riconosco ancora un po’ nel bambino che c’è in me. Vivendo nel mondo parte di questa purezza la perderà, è inevitabile. Ma io devo insegnarle fin d’ora a saperla preservare. Come padre ho il compito di accompagnarla.
È questo allora il suo “gioco preferito”?
Beh, è la vita. Mi sento come un bambino sempre alla ricerca di gioia e stupore. Nella vita ci metto passione e in più ho il privilegio di fare il musicista, la mia passione per eccellenza.
C’è in giro molta musica che la vita sembra però disprezzarla. Certa trap pare trasmettere vuoto e nichilismo. Che ne pensa?
Molti giovani cercano nella musica un facile successo, vogliono diventare qualcuno prima ancora di imparare. Chi canta ha però un compito e una responsabilità. Perché chi ascolta la musica cerca anche modelli a cui ispirarsi. Certo, si ha a che fare con mode passeggere. Ma ci sono mode che possono anche essere pericolose.
Il terreno degli immancabili “cattivi maestri”...
Spesso capita che soltanto in un secondo momento si pensi che c’è qualcuno che ti segue e a cui puoi aver confuso le idee con frasi di forte impatto e slogan dannosi e pericolosi. E se chi ti ascolta e ti segue è giovane e vulnerabile il danno può essere davvero grosso. Il problema è anche che molti giovani vanno con il paraocchi e ascoltano solo la musica del momento mentre dovrebbero avere curiosità. Soprattutto oggi che con Internet ci sono infinite possibilità.
In Alza la radio c’è allora anche un po’ di nostalgia?
La radio è un mezzo straordinario che si è saputo adattare ai nuovi tempi. Per fortuna è successo solo in parte quello che diceva quarant’anni fa la canzone Video killed the radio star. O è vero solo in parte, visto che la musica in cd non esiste quasi più. I dischi sono nel telefonino, non abbiamo più il formato, il supporto. La discografia però si basa ancora su vecchi metodi. Così quando io presento un cd la gente viene a salutarmi nelle presentazioni più che altro per farsi la foto con me. Se va bene paga il biglietto per venire al concerto, ma del cd non gliene importa niente. Io invece sono un nostalgico a cui piace tenere in mano il disco che rappresenta un’opera. Io lo ascolto, ne guardo i testi e lo sento davvero mio. Perché il contenitore è anche un po’ il contenuto. La forma, spesso, è anche sostanza.