Storia. Nel Medioevo i santuari portarono la Terra Santa in Europa
La Sacra di San Michele in Piemonte
A pochi chilometri da Damasco, in Siria, abbarbicata a 1500 metri d’altezza, sorge la città di Saydnaya, balzata tristemente alle cronache per aver ospitato una prigione militare nel corso del recente conflitto siriano. Il centro è noto per la presenza d’un antico, splendido monastero greco, in cui si conserva un’icona della Vergine venerata sia da cristiani, sia da musulmani, il culto della quale fu introdotto in Europa fra XII e XIII secolo nientemeno che dai cavalieri templari. Pare, infatti, che l’immagine emanasse una sostanza oleosa, raccolta in ampolle e tradotta presso alcune tra le principali case europee dell’Ordine. Se ne trova menzione, ad esempio, nel tesoro del castello di Peñíscola. Secondo la leggenda, l’icona era stata acquistata da un monaco di nome Teodoro. Accortosi delle sue proprietà, questi avrebbe deciso di tenerla per sé. Imbarcatosi ad Acri fu costretto, però, da una tempesta a tornare indietro: la volontà della Vergine era di raggiungere il monastero.
Qui, l’immagine aveva iniziato a emanare un liquido portentoso, capace di attirare le folle, facendo del luogo uno dei più importanti santuari mariani d’Oriente. Ogni anno, l’8 settembre, festa della Natività di Maria, cristiani e musulmani si trovavano fianco a fianco al suo cospetto, implorandone l’intercessione. Orbene: non siamo di fronte a un fatto eccezionale. Il mondo mediterraneo è costellato di luoghi di questo genere. La venerazione della Vergine o della Sacra Famiglia ha agito, sovente, da collante tra cristianesimo e islam. Da questo punto di vista, si può dire che i santuari abbiano favorito l’unità culturale del Mediterraneo stesso. Quale, la loro funzione? Cosa soggiace dietro la creazione di luoghi di questo genere? Per rispondere a queste domande è necessario comprendere cosa sia effettivamente un santuario e cosa lo distingua da altri luoghi di culto.
È quanto si propone di fare André Vauchez, tra i più importanti medievisti francesi, nel suo nuovo libro: Sulle orme del sacro. I santuari dell’Europa occidentale. IV-XVI secolo, edito per i tipi di Laterza (pagine 336, euro 25). Definire cosa sia un santuario è semplice e complesso al tempo stesso. Siamo di fronte a luoghi separati per definizione, in cui il senso del sacro si manifesta in modo peculiare: aree toccate dal divino e, pertanto, inviolabili. Un fenomeno, questo, presente in tutte le società umane. Basti pensare ai cosiddetti “santuari di confine”, frequentati da popolazioni limitrofe, presso i quali si stringevano trattati di pace, si stipulavano accordi commerciali, si celebravano matrimoni.
Nel mondo cristiano, si tratta di spazi in cui la grazia è elargita in maniera straordinaria; affiancati, dunque, agli ordinari luoghi di culto o di perfezione (sempre che si possa parlare d’“ordinarietà” rispetto al mistero): cappelle, chiese, cattedrali, monasteri, conventi (a certe condizioni, s’intende, santuari essi stessi). Sorti attorno a siti di particolare importanza, beneficiati da miracoli o ierofanie, specializzati nella custodia di reliquie, sepolture o immagini sacre, non è raro che vi si perpetui la memoria di grazie ricevute attraverso gli ex-voto che vi sono conservati. Luoghi che non hanno mancato di richiamare ingenti folle di credenti, scandalizzando, talvolta, i benpensanti, tesi a legarne le sorti all’espressione d’una «religiosità popolare» altrimenti da evitare. Una polemica, questa, che affonda le radici lontano nel tempo (per i primi cristiani, il vero “santuario” non era, forse, il corpo di Cristo?) ma che non ha ragione d’essere, considerata la secolare prassi della Chiesa.
Vauchez accompagna il lettore attraverso il sorgere e lo sviluppo d’un fenomeno destinato a diffondersi in tutto il mondo mediterraneo. A partire dal III-IV secolo va delineandosi, infatti, un progressivo interesse per le sepolture dei martiri, attorno alle quali sono eretti degli edifici appositi. I secoli successivi videro sorgere santuari di vario tipo, destinati a divenire velocemente dei luoghi di sosta nell’ambito delle grandi vie di pellegrinaggio ovvero delle mete di pellegrinaggio essi stessi. La loro genesi è molteplice: da quelli deputati a conservare le reliquie di Cristo, come Santa Croce in Gerusalemme, a Roma; le reliquie degli apostoli, si pensi a Santiago de Compostela; di santi evangelizzatori, come san Martino di Tours; quelli dedicati alla Vergine, come la Santa Casa di Loreto o la casa di Maria a Efeso; all’arcangelo Michele, com la Sacra di San Michele o Monte Sant’Angelo. Sovente, Gerusalemme funse da modello.
L’Europa, anzi, tentò a più riprese di portarne in occidente la sacralità, riproducendo la forma dei Luoghi Santi ovvero traslandone la « virtus» attraverso le reliquie. Siamo di fronte, dunque, a un percorso variegato, che l’autore ricostruisce in maniera efficace in un libro di piacevolissima lettura, arricchito da uno splendido apparato iconografico, mostrando in che maniera i santuari abbiano contribuito a costruire uno spazio cristiano nell’Europa medievale.