Storia. NEGRIERI sulle navi degli schiavi
L’inizio è formidabile, travolgente, mozzafiato: un romanzo d’avventura, roba che ti fa pensare a Conrad, a Melville, magari anche al nostro buon vecchio Salgari. La donna è legata, stesa sul fondo della canoa, avverte i colpi di pagaia degli uomini che la portano lontano dalla terraferma, chissà dove. Poi, come da un incubo, ecco emergere il profilo massiccio e implacabile della owba coocoo, la nave che si porta via la gente…; e quell’odore, quel lezzo insopportabile quel misto di sudore, di marciume, di escrementi. La puzza della paura, della morte.
Uno scatto di remi, un tuffo; e via, la donna nuota come un pesce verso la costa; grida infuriate dietro di lei, certo la inseguiranno per riacchiapparla. Invece no: si rende conto che i marinai appena tuffati a sua volta sono precipitosamente tornati imprecando sulla loro imbarcazione, ed è chiaro il perché. Dietro di lei un grosso squalo la insegue. Ce la fa ad arrivare sulla terraferma, però adesso ci sono riusciti anche i suoi aguzzini. Stremata, si lascia legare di nuovo; la trascinano sulla nave, la buttano sul ponte, poi la stiva la inghiotte.
Marcus Rediker, docente di Storia atlantica nell’Università di Pittsburgh, è un serio e solido studioso ma sa benissimo di avere anche la stoffa del romanziere; e pratica argomenti che al romanzo si prestano quanti altri mai, come Canaglie di tutto il mondo. L’epoca d’oro della pirateria (Elèuthera 2005). Scrive di mari, di navi, di tempeste, di abbordaggi, di corsari e di pirati. Ora, con La nave negriera ci offre un quadro davvero esaustivo del fenomeno della “tratta dei negri” nella sua stagione più intensa, tra Settecento e primissimi anni del secolo successivo. Di solito i libri come questo, che si denominano appunto “di sintesi”, presentano uno di questi due difetti: o soffocano la narrazione sotto la cappa delle considerazioni sociologiche e dei dati quantitativi, degli schemi e delle tabelle, e alla fine ci lasciano con l’idea di aver perfettamente descritto un bosco senza tuttavia averci mai consentito di vedere neppure un albero; oppure, al contrario, indugiano con maniacale attenzione su radici, tronchi, fronde e foglie e alla fine, dopo aver delineato con sicurezza un numero di alberi più o meno grande, non riescono a farci vedere la foresta.
Rediker riesce invece a offrirci un capolavoro di equilibrio tra analisi e sintesi: da una parte ci fornisce un quadro esaustivo della “tratta degli schiavi” a partire dai suoi aspetti strutturali e quantitativi, e ci fornisce implacabili, spaventosi dati obiettivi, dall’altra ci fa assistere di continuo a momenti, episodi, situazioni concrete, di quelle che lasciano sul serio
il segno della presa diretta.
La ben educata ipocrisia di quel tipo di storia che si apprende dai manuali scolastici ha fino ad oggi molto sorvolato sui funesti segreti che stanno alla base di una storia dell’Occidente moderno concepita e raccontata come una sorta di cammino ascensionale verso gli obiettivi della libertà e del progresso. Non si parla volentieri agli studenti delle pagine più dure della storia coloniale, degli orrori delle guerre di sterminio, delle infamie delle spoliazioni, delle deportazioni, delle violenze. Al di là dei delitti commessi dagli spagnoli durante la conquista del Nuovo Mondo, l’Occidente sembra aver conquistato il mondo solo con il fascino irresistibile del suo progresso e con al dolce forza della sua superiore tecnologia e del suo umanitarismo impregnato di generosa razionalità. Con queste premesse, gli orrori dei Gulag e dei Lager sembrano davvero i prodotti della calata degli Hyksos, dell’improvviso e demonico rovesciarsi di un oceano di orrori su una storia fino ad allora umana e serena.
Non è così. Il nostro progresso, la nostra cultura, il nostro benessere poggiano su secoli e secoli di rapine, di sangue e di morte. Quando Gran Bretagna e Stati Uniti abolirono il commercio degli schiavi, in poco più di un secolo oltre cinque milioni di disperati erano morti tra l’imbarco della merce umana in Africa, la traversata dell’Atlantico, l’approdo nel Nuovo mondo; altre vite umane sarebbero state troncate a migliaia e precocemente, nei luoghi nei quali il bestiame umano lavorava senza posa e senza speranza per arricchire chi lo aveva ridotto in un’immeritata prigionia.
E tutto questo nemmeno, in fondo, per crudeltà o per ferocia. Solo per denaro: si calcolava pochi soldi la vita di uno schiavo, ma ben si sapeva quale fortuna potesse rendere il suo lavoro.