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CANZONI D'ESTATE / 5. Negramaro: «Si riparte da zero»

Andrea Pedrinelli lunedì 26 agosto 2013
Più ci si avvicina all’oggi, più è complesso dare misura storica a quanto sta avvenendo. Eppure in tempi di cambiamenti continui sembra sia già venuta per gli appassionati di musica l’ora di capire, nel 2013, l’eredità della prima decade del nuovo millennio. Anche perché i cosiddetti "Anni Zero" non hanno mutato di poco le carte in tavola. Si è estinta la generazione dei primi grandi cantautori, ed accanto all’affermarsi di nuove valide scritture (Tiziano Ferro, Cammariere, Capossela) il mercato è andato anche in direzioni più discutibili. Dalla moda del ritorno al passato tout-court (Bublé, Mario Biondi) al dilagare di voci senza repertorio uscite dai talent, sino al rap che, però, spopola partendo dal successo della violenza di Eminem. Certo gli "Anni Zero" hanno anche proposto Coldplay, Ben Harper, Moby, Adele e James Blunt, Elisa e Carmen Consoli. Ma col disperante contrappeso di Shakira, Anastacia, Justin Bieber e Gigi D’Alessio. Insomma: un guazzabuglio. Che forse solo chi l’ha vissuto, può aiutarci a comprendere. E se poi l’ha vissuto fra i pochi innovatori, con una musica capace di traghettare l’Italia dalla tradizione poetico-cantautorale alla modernità dell’odierno rock da stadio, meglio. Parliamo dei Negramaro, dunque: ed è al cantante Giuliano Sangiorgi che chiediamo cosa rimanga, già tre anni dopo, del primo decennio del 2000.Come definirebbe i contenuti degli "Anni Zero"?Intanto credo che già la definizione che lei usa sia perfetta nel descrivere il decennio in questione. Sono infatti anni in cui tutto ricomincia e prende forma il nuovo: che, come sempre, nasce da macerie. Ovvero da ciò che resta di un’ondata post rock travolgente, che ha travolto la riva lasciando la spiaggia senza orme.E con molti maestri che se ne sono andati. C’è per lei una perdita più grave di altre?Sicuramente Lucio Dalla. Era l’ultimo grande cantautore di un’epoca italiana caratterizzata dalla poesia in musica: cioè da canzoni che asciugate delle note restavano in piedi lo stesso.C’è a suo avviso un grande sottovalutato di oggi?Non mi piace usare la parola sottovalutato: non so chi è che valuta, né chi è il valutato. A me piacciono moltissimo le canzoni di Diego Mancino. E credo meriti un più grande pubblico.I Negramaro sono partiti sotto l’ala di Caterina Caselli. Figure oggi rare come la sua, che però erano tante nei decenni precedenti, quanto mancano per il destino delle nuove generazioni di musicisti?Il punto è che le cose cambiano. E la figura dei talent scout ha preso le sembianze di una grande tv. Non è più una persona, ma una trasmissione televisiva a fare quello che facevano i discografici di una volta. L’indirizzo a cui mandare un demo è cambiato.Lei è fra i pochi ad aver rilanciato una figura scomparsa coi cantautori, quella dell’autore puro, scrivendo per Bocelli, Malika Ayane, Patty Pravo, Mina, Celentano… Cosa significa oggi essere autori?Sentire da altri le proprie parole è come guardarsi allo specchio e ritrovarsi felicemente cambiati, una proiezione di quello che a volte si vorrebbe essere. È qualcosa di profondo, coinvolgente.Però i cantautori non sembrano giungere alle masse: come se la canzone d’autore fosse per pochi. È così?Mah, la musica è sempre in evoluzione. Il fatto che si stia facendo sempre più riferimento ad una miscela di rock ed elettronica non vuol dire necessariamente che non ci sia un grande cantautorato dietro. La forma cambia, ma si spera la sostanza resti. Anche perché le canzoni vivono solo se dotate di emozioni.E certo rap di successo come quello di Eminem quanto è arte nella misura in cui comunica disvalori? Non è un boomerang per i giovani, che vada nelle hit?Secondo me la musica non ha doveri. Penso a poeti come Verlaine, Baudelaire… Il nero deve avere spazio: senza, non avremmo occhi abituati alla luce. A mio avviso il rap concede, con una metrica più serrata, molto più spazio per definire un concetto. Certo mi auguro e spero che non venga mai sprecato.Quanto ha cambiato la musica del Duemila la sua diffusione via web, da Itunes in poi? Non si va verso una musica spersonalizzata, senza dialogo ed emozioni?Al centro di ogni cambiamento ci deve essere sempre e solo l’uomo. E credo quindi che più si andrà verso soluzioni radicali e multimediali, più si arriverà per paradosso a una selezione naturale di chi è in grado di suonare dal vivo. La vera rivoluzione sarà quella.Ma dove va, oggi, estate 2013, la musica italiana?Non conosco la meta, ma so che si va tutti verso… la musica: indistintamente. Ed ognuno porterà qualcosa di sé: cantautori, gruppi, rap, interpreti. Io ho solo un augurio, che l’Italia si ricordi di essere un paese di poeti. Cantare e scrivere canzoni deve restare l’espressione più alta di quel che si ha dentro.