Basket Nba. Oklahoma City, la preghiera prima dei canestri
Il Paycom Center, l’arena degli Oklahoma City Thunder
Dio ama il basket. Non hanno dubbi i Thunder di Oklahoma City l’unica franchigia del campionato Nba che prima di ogni partita propone al pubblico un momento di preghiera. Succede proprio così: la musica si stoppa, le luci si abbassano, nel silenzio generale un esponente a turno delle diverse religioni presenti nell’area metropolitana guida un’invocazione in cui si invitano gli spettatori ad alzare gli occhi al cielo guardandosi dentro. Lo fanno da sempre non soltanto quest’anno che i Thunder sono la grande rivelazione della stagione. La squadra è formata da tanti giovani talenti trascinati da un potenziale Mvp (miglior giocatore del campionato) come Shai Gilgeous-Alexander e da Jalen Williams. In panchina siede il 39enne Mark Daigneault appena nominato allenatore dell’anno. Un cammino finora impeccabile: dopo aver concluso la stagione regolare della Nba al primo posto della Western Conference, al primo turno dei playoff i Thunder hanno spazzato via (4-0, il cosiddetto “ sweep”) i Pelicans di New Orleans. Sogna Oklahoma, franchigia recente nata solo nel 2008 raccogliendo l’eredità degli storici Seattle SuperSonics, vincitori di un titolo Nba (nel 1979) e grandi protagonisti degli anni Novanta con Shawn Kemp e Gary Payton. L’accordo con il quale furono trasferiti era legato anche a un progetto di risollevamento finanziario e morale di Oklahoma City dopo lo sconvolgente attentato del 1995 (in cui persero la vita 168 persone). Il nome SuperSonics, così come i colori e il logo, furono lasciati alla città di Seattle in vista di un possibile ritorno della Nba.
La nuova franchigia venne invece ribattezzata Thunder (“tuono”, in italiano) in riferimento alla Tornado Alley, la zona centrale degli Stati Uniti dove si sviluppano il maggior numero di tempeste e tornado. Non solo. Oklahoma City è anche sede della 45esima divisione di fanteria dell’esercito statunitense, i cui soldati sono detti “ Thunderbirds”, in onore dell’antica leggenda nativo-americana dell’Uccello di Tuono. Secondo la mitologia indiana, era proprio il Thunderbird, un enorme uccello divino, a generare le tempeste. Lasciati dunque a Seattle il giallo, il verde e il rosso, i colori sociali divennero blu, giallo e rosso- arancio. Fu creata anche una nuova mascotte, Rumble il bisonte, che è ormai presenza fissa al palazzetto di casa, la Paycom Center arena. Prima però che lo spettacolo abbia inizio, ecco dunque il curioso rituale inaugurato in realtà dai New Orleans Hornets quando si trasferirono temporaneamente a Oklahoma City dopo che l’uragano Katrina devastò la città. Poi però abbandonata dagli Hornets, l’invocazione pre-gara è diventata invece abituale per i Thunder sin dal loro primo anno di storia.
Un’iniziativa che accese il dibattito negli Stati Uniti. Il New York Times fece notare che nessuna delle principali squadre professionistiche americane – e ce ne sono circa 141 includendo anche football e baseball – osservava un simile pre-partita, solo una franchigia della Nfl aveva qualcosa di simile. E Usa Today spiegò che sebbene ogni palazzetto della Nba abbia un ambiente riservato come cappella, alla quale possono accedere tutti i giocatori di entrambe le squadre, solo i Thunder propongono un’invocazione pre-gara al centro del campo. Tutti gli esponenti locali delle diverse religioni hanno accettato con favore e anche emozione questa proposta. « Pensiamo sia un modo meraviglioso per mostrare l’importanza della fede a Oklahoma City» dicono in coro. La maggioranza sono cristiani protestanti, il clero più diffuso, ma vi hanno preso parte cattolici, rabbini e anche i leader spirituali dei nativi americani. Una volta prese la parola il vescovo della diocesi cattolica di Tulsa e cominciò: « Dio buono e misericordioso, sii con noi mentre guardiamo la partita. Preghiamo per i giocatori: possano giocare bene, con grande sportività e sfruttando tutto il potenziale del loro straordinario talento…Preghiamo per noi fans, aiutaci ad apprezzare e incoraggiare questi fantastici giocatori. Dio tienici al sicuro. Tienici sempre nel palmo della tua mano». Al termine riferiscono che fu da brividi l’ “Amen” di risposta degli oltre 18mila spettatori.
C’è ovviamente anche chi ha storto il naso, parlando di esibizionismo o di marketing “religioso”. Eppure la franchigia non ha nessuna intenzione di rinunciarvi. Dan Mahoney, vicepresidente dei Thunder, ha più volte ribadito. «Si tratta di un’invocazione che vuole essere quanto più possibile “inclusiva”. Se qualcuno pensa che non sia appropriata per il proprio credo può sfruttare questo momento per una riflessione o come meglio ritiene. I nostri tifosi però apprezzano da sempre questa tradizione e la sostengono. Sono anzi orgogliosi che siamo l’unica squadra della Nba a farla. Noi – ha continuato Mahoney - vogliamo continuare a dargli questa opportunità. Sentiamo che la fede è importante per loro. È una parte importante della loro vita anche quando si riuniscono nella nostra arena per sostenere la nostra squadra». E quindi avanti così. Tutti insieme puntando in alto. Molto più in alto di un campo da basket.